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Sei anni di Abenomics
Alla fine del 2017, l’economia del Sol Levante si presentava molto più forte rispetto a quando Abe ha conquistato il favore degli elettori giapponesi, tuttavia, i progressi non sono stati tali da poter affermare che la rivoluzione promessa si sia compiuta
L’adozione di una politica monetaria ultraespansiva –fattore chiave della politica nota al grande pubblico con il nome di Abenomics- ha aiutato il paese ad allontanare lo spettro della deflazione che aleggiava ormai da qualche decennio. La debolezza dello yen ha dato nuova linfa alle esportazioni, agli utili conseguiti dalle imprese e al mercato azionario domestico.
Nonostante ciò, gran parte del potenziale espresso non ha sortito gli effetti sperati all’inizio del primo mandato di Abe. I consumi interni continuano a non mostrare l’accelerazione sperata, le imprese non adottano i tanto attesi incrementi salariali. Imprese e famiglie sono sempre più preoccupate per il forte invecchiamento della popolazione e per la stagnazione delle nascite. Infine, l’enorme debito pubblico –seppure sotto controllo- rappresenta una variabile da non sottovalutare nel lungo termine.
Crescita
La traiettoria seguita dalla crescita appare modesta e necessita di uno scossone per poter centrare gli obiettivi delineati dal premier. Intendiamoci, i risultato non è stato per nulla deludente perché il Pil nipponico è cresciuto di ben 494 mld di usd (più del Pil annuo di un paese industrializzato come il Belgio) da quando Abe è al potere, ma non tale da scuotere un’economia che nuotava nella deflazione. Un dato incoraggiante riguarda i nuovi investimenti, flusso che dovrebbe indicare una crescita più sostenuta in futuro.
Debito
Il debito pubblico si è stabilizzato intorno al 240% del Pil (secondo le stime fornite dal Fondo Monetario Internazionale). Si tratta di un successo rispetto a quanto fatto su questo versante dai suoi predecessori, tuttavia, il peso del debito è nettamente il più elevato tra quelli delle economie più industrializzate del pianeta e le probabilità di poterlo ridurre sono davvero poche. Il dato che più preoccupa è che la progressiva decrescita della popolazione provocherà un incremento del debito medio pro-capite.
Occupazione
Uno dei successi più evidenti della gestione Abe è quello ottenuto nel mercato del lavoro. Attualmente il numero di occupati è superiore di 2.7 mln rispetto a cinque anni fa. Nello stesso periodo di tempo, il numero complessivo dei disoccupati si è ridotto di 1,1 mln. Gran parte del miglioramento è ascrivibile al rientro di molte donne nel mondo del lavoro. Il Governo si era dato obiettivi ancora più ambiziosi: il 30% delle posizioni di rilievo dovevano essere occupate da donne entro il 2020 (i dati mostrano che siamo lontani da tale target).
Produttività
La frenata della produttività in alcuni settori chiave è la nota dolente della gestione Abe. L’industria e il turismo sono i settori che hanno centrato un incremento della produttività. Il settore dei servizi –che impiega il 70% della forza lavoro- ha registrato un calo del 10% tra il 2003 e il 2016. Sintomi di debolezza interessano anche l’agricoltura. Anche se la decelerazione della produttività è un trend globale, le riforme strutturali di Abe puntavano a invertire il trend.
La sfida di Abe è ancora tutta da giocare. Il premier è consapevole che il Giappone sarà in grado di continuare a gestire con calma la montagna del debito pubblico e il trend di invecchiamento della popolazione solo se la crescita del Pil e quella della produttività saranno al’altezza della situazione.