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Una Fed sempre più falco
Come ampiamente previsto, il FOMC ha alzato i tassi di interesse di 25 punti base. Tuttavia, cosa probabilmente ancora più importante, ha espresso la sua volontà di intraprendere una linea più aggressiva, aggiungendo un quarto aumento dei tassi di interesse per l'anno in corso al suo outlook per il 2018. Le speculazioni sulla possibile aggiunta di un quarto aumento sono state un tema ricorrente per tutto il 2018, ma una conferma indicherà che la maggior parte del comitato è meno favorevole a questa linea rispetto a quanto affermato in precedenza.
È probabile che questa decisione aggravi la situazione delle valute dei mercati emergenti. Potrebbe inoltre offrire al dollaro un nuovo impulso rispetto alle sue controparti del G3, in quanto nelle prossime settimane i differenziali dei tassi di interesse a breve termine potrebbero ampliarsi ulteriormente.
Con questa decisione la Fed torna sul sentiero delle strette monetarie dopo tre mesi di pausa. Si tratta del settimo rialzo –tutti da un quarto di punto- da quando è iniziato il ciclo di normalizzazione della politica monetaria nel dicembre del 2015.
Il dot-plot messo a punto dal board della Fed evidenzia l’arrivo di altri due rialzi del costo del denaro che porterebbero il range di riferimento (attualmente tra l’1,75% e il 2%) al 2,25%-2,5% entro la fine dell’anno in corso. Il dato implica una stretta in più rispetto a quelle stimate a inizio anno. Per quanto riguarda le proiezioni a lungo termine, le attese sono per altri sei rialzi che porterebbero il range al 3,25%-3,5% entro la fine del ciclo di rialzi (prevista per il 2020).
La decisione è stata presa all’unanimità in scia alla pubblicazione di dati economici molto positivi. I consumi delle famiglie continuano ad aumentare e non sembra influenzati dall’aumento del costo dei finanziamenti. Il tasso di disoccupazione è al 3,8% e tutto sembra indicare che continuerà a scendere.
Gli spazi per ulteriori rialzi dei tassi ufficiali trovano conferma anche nella presenza di tassi nominali ancora inferiori a quelli ‘neutrali reali’, cioè in grado di inglobare un contesto di piena occupazione e inflazione equilibrata ma in crescita.
Il settimo rialzo dei tassi arriva in un contesto economico di grande forza negli Usa, con il tasso di disoccupazione al 3,8%, il tasso d’inflazione su base annua che ha segnato nella rilevazione di maggio un 2,8%. Il Pil ha registrato un progresso del 2,2% su base annua nel primo trimestre. Powell ha sostenuto che l’ultima lettura ha mostrato un’inflazione superiore al target del 2% fissato dalla Fed, tuttavia, l’importante è che il tasso medio –tra alti e bassi- si pozioni nei pressi del target.
Come sempre accade, la politica monetaria riserva delle controversie. La più rilevante riguarda la curva dei rendimenti statunitense che si sta appiattendo pericolosamente. Lo spread tra i tassi a 2 e a 10 anni ha recentemente raggiunto i 40 punti. Inoltre, come evidenziato recentemente da Lael Brainard, membro della Federal Reserve, c’è stato solo un singolo caso dal 1960 in cui una curva invertita non ha preceduto una recessione. Tenendo conto delle previsioni mediane della Fed, l'inversione arriverà tra il 2019 e il 2020. Tale contesto potrebbe spingere la Fed a cercare di irripidire maggiormente la curva, fornendo una guidance più simmetrica rispetto al suo obiettivo di inflazione. Il target potrebbe essere mantenuto al 2% durante tutto il ciclo, autorizzando al contempo deviazioni al ribasso e al rialzo. Un simile cambiamento di tono porterebbe a una deviazione delle prospettive sull’inflazione.