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Il termometro lusso
In questi giorni turbolenti, in cui vi è la minaccia di un’escalation nella guerra commerciale fra Cina e Usa, vale la pena analizzare un settore spesso non osservato con la dovuta attenzione dagli investitori, anche perché non è di facilissima definizione. Stiamo parlando del comparto dei beni di lusso, forse in assoluto quello al mondo maggiormente dominato da aziende europee e il più sensibile alle dinamiche dell'economia e della società cinesi.
Infatti viene stimato che circa il 35% delle vendite di oggetti di alta gamma sul pianeta sia originato da consumatori della Repubblica Popolare, responsabili poi di un incredibile 70% della crescita totale di questo vasto comparto. Il lusso, inoltre, è stato uno dei maggiori driver dell'aumento del turismo cinese all'estero, ormai da anni la forza dominante anche in questo comparto, a causa delle costose tasse di importazione cui sono soggetti questi beni all'interno del territorio del Dragone.
Come detto, l'Europa fa la parte del leone in questo ambito, in particolar modo i colossi francesi diversificati. Nella querelle commerciale attuale, il Vecchio continente e la Cina si trovano dalla stessa parte contro gli Stati Uniti, pertanto è improbabile che questi gruppi vengano messi nel mirino dalle autorità del Partito comunista al potere.
In teoria un boicottaggio dei maggiori brand americani, per quanto non esattamente sovrapponibili, potrebbe portare a una maggiore spesa per i prodotti luxury. Tanto per fare un esempio, un consumatore che rinunciasse a comprare un cellulare Apple, dirottando la propria spesa verso un più economico modello di Oppo, si troverebbe con qualche centinaio di euro in più in tasca, che magari verrebbero spesi per un capo di Brunello Cucinelli. Nella realtà, però, se andiamo a vedere l'andamento borsistico di questo comparto, troviamo una marcata correlazione con i problemi attuali. Infatti, se prendiamo l’indice S&P Global Luxury Index, composto da 80 titoli leader a livello mondiale in tutto ciò che è lusso, scopriamo che dai massimi storici dello scorso giugno si sia perso oltre il 9% in circa tre settimane. Si tratta del peggiore movimento al ribasso dal 2014 quando, peek-to-trough, fu lasciato sul terreno oltre un quarto della capitalizzazione, salvo poi vedere il comparto riprendersi in maniera spettacolare a partire dal 2016. Al momento, rispetto a un anno fa, ci troviamo comunque in rialzo del 19%. Nel solo 2017 infatti l’incremento è stato superiore al 40% in termini di total return.
Performance di questo genere non sono una certo una mosca bianca: nel 2009 è stato messo a segno un rialzo superiore al 52%, cui ha fatto seguito un +44% l'anno successivo. Ottime annate si sono avute anche nel 2012 (+26%) e 2013(+35%). Negatività, ben oltre l'equity globale, si è avuta invece nel biennio 2014-2015, in cui cumulativamente è stato perso grosso modo il 10%. In pratica, come si può capire, il lusso è un chiaro momentum play, in cui le performance sono eccellenti quando l'economia globale è in buone condizioni grazie a una Cina in fase di accelerazione, altrimenti sono guai.
In sé i fondamentali del comparto sono buoni: per i maggiori gruppi viene previsto un aumento del fatturato nell'ordine delll'8% da qui al 2025, con lo sviluppo di concessioni e-commerce che potrebbero andare a rappresentare un nuovo canale di vendita ad alto margine. Infatti finora sulla rete il lusso è sempre stato presente soprattutto attraverso i propri canali proprietari. Ciò rientra in una strategia consolidata da parte dei maggiori player da molti anni, ossia controllare in maniera diretta la distribuzione.
A questo punto vale la pena investire in questo segmento? Forse allo stato attuale, viste anche le valutazioni non proprio a sconto, è meglio aspettare ancora un po'. Certo comunque si tratta di un barometro interessante: se infatti il lusso dovesse riprendere a sottoperformare in maniera significativa sarebbe una spia seria che qualcosa non va.