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Malaysia e Thailandia, il ritorno delle tigri
In un precedente articolo avevamo analizzato l'andamento di diversi mercati emergenti dal punto di vista della loro moneta contro il dollaro a partire la metà di aprile del 2018. Questi ultimi cinque mesi erano poi stati messi a confronto con il famigerato periodo del taper tantrum nel 2013, che aveva in verità visto una svalutazione rispetto alla divisa statunitense molto più leggera rispetto a quella che si è vista quest'anno, anche se poi le nazioni con un saldo di partite correnti negativo avevano vissuto una seconda parte dell'anno drammatica.
Infatti l'insieme variegato degli emergenti è stato diviso fra quei paesi che vantano un saldo positivo con il resto del pianeta e quelli che sono invece importatori netti di capitali. Ed è proprio nel primo gruppo che bisogna andare a ricercare occasioni sul breve-medio periodo, quanto meno nell’azionario.
Infatti in un quadro di fine ciclo economico, di rialzo dei tassi di interesse statunitensi e di crisi politica generale con possibili minacce di escalation nel delicato campo del commercio estero non è il caso, a meno che non si sia profondi conoscitori di tali piazze e si disponga di una forte propensione al rischio, andare a invischiarsi su mercati come la Turchia, il Messico, l’Indonesia o il Brasile: con il dollaro forte e un'America che da sola al mondo sta accelerando la propria crescita economica, il rischio è andare a collocare i propri soldi su paesi in preda a una mezza fuga di capitali. In un'ottica contrarian potrebbe pure essere una grande idea sul medio-lungo periodo, nell'immediato però il risk management di una simile operazione risulta molto complesso.
Rimangono dunque le economie creditrici, da cui però dobbiamo togliere i colossi industriali del Far East. Ribadiamo che questi ultimi rimangono, almeno a livello tecnologico, una grande occasione per il futuro. Ma è indubbio, però, che le politiche di Trump hanno portato a un significativo derating dell'Est dell'Asia, da cui per il momento non si vede alcuna via di uscita. Basti pensare al gap in termini di multipli fra Samsung Electronics e Apple, non assolutamente giustificato, visto che le due aziende vantano fatturati e livelli di profitto piuttosto simili. Su questo argomento torneremo in futuro comunque.
Dunque su che cosa si può puntare? Un'alternativa è posizionarsi in Asia su Thailandia e Malaysia. Queste due nazioni vantano una notevole capacità industriale e, nel caso della Malaysia, vi è anche una ricca dotazione di risorse naturali a spingere il Pil. Quest'ultimo in entrambi i casi dopo anni difficili ha visto una buona accelerazione fra il 2017 e il 2018 (quest'anno Kuala Lumpur dovrebbe mettere a segno per il secondo anno di fila una crescita superiore al 5% mentre la Thailandia dovrebbe registrare per la prima volta dal 2012 un valore superiore al 4%). Inoltre i due paesi presentano caratteristiche per certi versi intermedie fra la parte ricca del continente asiatico a nord e quella in via di sviluppo del sud. Il Pil pro capite è infatti molto più basso di Corea, Taiwan e Giappone, però nettamente più alto di Vietnam, Indonesia, Filippine e altri.
La popolazione è ancora giovane e vi è una spiccata propensione a competere in alcuni comparti dei servizi come il turismo o la finanza, oltre appunto a contare sull'estrazione di commodity. Al tempo stesso, però, è presente una marcata competitività industriale che alimenta l’export di manufatti a livelli più che rispettabili. Inoltre la maretta degli anni precedenti aveva lasciato il baht e il ringgit, moneta rispettivamente thailandese e malese, fortemente sottovalutati. Queste due, dopo un inizio di anno ottimo, hanno visto il dollaro da metà aprile rivalutarsi nell'ordine del 5-6%, percentuali paragonabili a quelle mostrate dai cugini asiatici più ricchi. Nei confronti dell'euro in compenso la stabilità è pressoché completa.
In pratica queste due economie, pur subendo gli effetti di un trend generale di rafforzamento del dollaro, non mostrano segnali di fuga di capitali come certi paesi non asiatici dal livello di sviluppo paragonabile, quali Messico e Turchia.
In compenso i mercati azionari locali hanno mostrato una vitalità sconosciuta nel resto del continente: dopo avere corretto, come altri emergenti, dai massimi storici durante la scorsa primavera, hanno entrambi vissuto un ottimo luglio, con performance altamente correlate a quelle di Wall Street. Attualmente sia il listino di Bangkok, sia quello di Kuala Lumpur si trovano a pochi punti percentuali dai massimi dopo essere saliti rispettivamente del 6,6% e del 5,5% lo scorso luglio, un caso pressoché unico nell'ambito del Far East, peraltro con una correlazione altissima fra loro. Infine va detto che nessuna delle due piazze è particolarmente economica, secondo vari multipli, ma il quality growth è ragionevole aspettarsi che non sia a buonissimo mercato.