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Un autunno molto, molto caldo

19/08/2018

Passato Ferragosto, anche se gli uffici continuano a essere vuoti, comincia a riprendere l’attività e soprattutto si inizia a pensare a che cosa succederà a settembre, quando di fatto riparte il nuovo anno. E in questo 2018 rivelatosi abbastanza contraddittorio, almeno rispetto alle aspettative iniziali, le scadenze difficili da affrontare non sono poche. Vediamo le principali.

Aumento dei tassi da parte della Fed. Per il momento la Banca centrale Usa sembra intenzionata a proseguire nella sua politica di incremento dei saggi di interesse e, sulla base di quanto anticipato, il tasso di riferimento che è al 2% dovrebbe essere portato al 2,50% entro la fine di quest’anno e al 3,25% nel corso del 2019. Si tratta di ritocchi non da poco, che da una parte danneggiano le imprese di tutto il mondo, che si trovano ad avere a che fare con una generalizzata crescita del costo del denaro, dall’altra mettono in difficoltà il mercato obbligazionario globale: con tassi di riferimento di quel genere, infatti, i Treasury decennali Usa alla fine del 2018 rischiano di andare intorno al 3,30-3,50% e ben sopra il 4% nel 2019. Significherebbe un’enorme difficoltà da parte dell’intero mercato del fixed income a mantenere la concorrenza e soprattutto ciò porterebbe a una forte svalutazione nei portafogli dei titoli che oggi pagano interessi molto minori. In pratica un lento bradisisma che sta andando a colpire l’intero reddito fisso. Poi per gli emergenti, soprattutto quelli più in difficoltà, un quadro del genere sarebbe semplicemente il disastro.

Fine del Qe da parte della Bce. A partire da ottobre Mario Draghi chiuderà il quantitative easing della Banca Centrale Europea. Finora i bond emessi nell’Eurozona hanno potuto pagare tassi di interesse ridicoli, persino negativi (un unicum nella storia) solo perché Francoforte spazzava via dal mercato ogni nuova emissione. Nel giro di qualche settimana, però, qualsiasi stato o qualsiasi azienda chieda soldi in prestito dovrà dare tassi di mercato e per di più concorrenziali con quelli dei Treasury americani. Per i paesi più indebitati, come l’Italia, rischia di essere una vera e propria mazzata, ma anche le imprese che emettono bond dovranno indebitarsi a prezzi più alti, visto che con gli interessi dei governativi in crescita gli spread dei corporate tendono ad ampliarsi. Anche in questo caso un terremoto non da poco, benché Draghi abbia promesso che almeno fino alla metà del 2019 non verrà toccato il tasso di riferimento.

Le guerre commerciali. Nel giro di pochi mesi si saprà se l’imposizione di dazi sulle merci che entrano negli Stati Uniti prenderà davvero il via o se si tratta di un bluff. A nostro parere la questione è mal posta: il problema vero non è se si tratta di un bluff da parte dell’amministrazione Trump, ma se questo bluff verrà visto da parte della Cina, dell’Europa e di una miriade di altri attori. Nel caso che costoro decidano di andare a vedere se l’America fa sul serio, si rischia tutti di farsi male seriamente: a quel punto nessuno vorrà perdere la faccia e c’è il pericolo di dare il via a un effetto domino che avrebbe effetti devastanti su tutte le economie, a cominciare da quella statunitense.

Il momento della verità del governo italiano. Per ora il nuovo governo di Roma si è limitato a personali comunicati su Twitter sulle principali questioni in ballo: la flat tax, il reddito di cittadinanza, il fermo della costruzione di infrastrutture, la riforma delle pensioni. Di fatto non è accaduto nulla, se non qualche non irrilevante movimento dello spread del Btp. A partire da settembre alcune decisioni dovranno essere prese: prevarrà il buon senso economico o l’esecutivo deciderà di portare avanti il suo programma convinto che sia la base per un vero sviluppo? La risposta e le eventuali conseguenze, positive o negative che siano, non possono più essere procrastinate.

Altri elementi di tensione. Oltre alle questioni appena citate non mancano altri punti che potrebbero dare un contributo pesante al generale stato di tensione: gli accordi finali sulla Brexit, che si stanno rivelando meno facili del previsto con un forte aumento di irrazionalità da parte sia del Regno Unito, sia dell’Unione Europea, le tensioni in Medio Oriente e la questione iraniana, la spaccatura tra paesi europei sul tema dei migranti e la probabile fine del ciclo economico costituiscono altri punti interrogativi importanti.

Conclusione. Se soltanto la metà delle cose che abbiamo citato avesse un impatto negativo, i mercati azionari e obbligazionari sarebbero fortissimamente a rischio. Un risparmiatore prudente probabilmente oggi farebbe bene mettere i suoi risparmi in liquidità in una moneta forte e aspettare gli eventi. Al contrario, se tutto si risolvesse in maniera positiva, probabilmente ci sarebbe una forte ripartenza dei mercati e un investitore amante del rischio ne potrebbe approfittare.

A cura di: Alessandro Secciani

Parole chiave:

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