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L’anno delle divergenze
Se prendiamo l’azionario, a fine agosto l’indice S&P 500 aveva guadagnato il 9,94% su base annua, mentre l’indice Msci Emerging Markets aveva perso il 6,99%. A conti fatti, una differenza di quasi 17 punti percentuali.
La divergenza non si è manifestata solo a livello regionale. Negli Stati Uniti, l’indice Russell 1000 Growth ha sovraperformato l’indice Russell 1000 Value di 12,73 punti percentuali.
In ottica multi-asset, osserviamo divergenze analoghe anche nel segmento dei titoli di Stato, delle obbligazioni societarie, delle materie prime e di altre asset class. Nel reddito fisso, un ottimo esempio ci viene fornito dall’high yield statunitense, +2% a fine agosto, e dalle obbligazioni in valuta locale dei mercati emergenti (che vantano mediamente un rating migliore), -10,47% nello stesso periodo.
Un dollaro forte
Secondo i gestori di neuberger Berman, quste differenze sono spiegabili. È dall’inizio dell’anno che i dati economici degli Stati Uniti (fiducia di aziende e consumatori, tasso di occupazione) si mantengono positivi. Dall’Europa giungono segnali simili, mentre il mondo emergente ha perso terreno. Le nuove politiche fiscali statunitensi hanno accentuato notevolmente tali divergenze, alimentando l’aspettativa di un rialzo dei tassi di interesse che, a sua volta, ha rafforzato ulteriormente il dollaro.
Per le economie del mondo emergente che devono gestire un debito delle partite correnti finanziato con titoli denominati in dollari, un rafforzamento del dollaro causa difficoltà. E più il biglietto verde si rafforza, più gli investitori temono il contagio nei confronti dei mercati emergenti che si trovano più esposti finanziariamente. Il ridimensionamento del bilancio della Federal Reserve e i disaccordi che ancora aleggiano sugli scambi commerciali globali hanno rappresentato un ulteriore fattore avverso per i mercati emergenti, che sono particolarmente sensibili ai flussi globali di capitali e merci.
Se consideriamo questo quadro, la sovraperformance delle azioni e delle obbligazioni societarie statunitensi, da un lato, e la sottoperformance delle azioni, delle obbligazioni e delle valute dei mercati emergenti, dall’altro, non risultano sorprendenti, nonostante la notevole portata dello scostamento.
Più insolita, invece, pare la superiorità dei titoli growth in questa fase apparentemente matura del ciclo economico. In passato, in presenza di una forte crescita degli utili, di una compressione deglispread e di un rialzo dei multipli azionari, gli investitori sono stati più propensi a ricercare titoli value, che offrono la prospettiva di un’ulteriore espansione dei multipli e tendono a essere collegati ad aziende maggiormente cicliche, i cui utili reagiscono positivamente a un aumento della crescita, dei tassi e dell’inflazione.
Tuttavia, non è difficile riscontrare perché alcuni aspetti di questo ciclo sono diversi. La crescita globale rimane modesta, nonostante la durata del periodo di espansione, mentre inflazione e tassi di interesse restano bassi. Pertanto, le società che prospettano una crescita degli utili sostenibilmente elevata e presentano valutazioni meno sensibili al tasso di sconto possono ancora presentare un premio.
Ritorno alla media
Per quanto notevoli, quindi, queste divergenze sono spiegabili. C’è una cosa, però, che ogni investitore deve sapere di queste tendenze ed è questa: possono durare molto più a lungo del previsto. Ciascuno dei driver fondamentali che le alimenta potrebbe persistere, se non addirittura intensificarsi, nel breve termine. Inoltre, queste divergenze potrebbero essere segnali di un riallineamento strutturale dell’economia globale:i trend demografici, gli stimoli fiscali negli Stati Uniti combinati alle dure prese di posizione in materia di commercio estero e la sensazione sempre più forte che solamente poche solide società nel settore tecnologico potrebbero presentare margini unici in questo nuovo contesto mondiale, caratterizzato da una lenta crescita economica.