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Usare la volatilità per proteggersi
In un precedente articolo abbiamo fatto notare che c’è una certa disconnessione fra i dati che stanno emergendo dalle trimestrali statunitensi e la reazione spaventata dei mercati; il tutto senza nemmeno contare le previsioni per l'anno prossimo che rimangono comunque decisamente buone. Il risultato è che l'S&P 500 ha vissuto un certo derating, tanto che, se le stime di profitto dovessero essere confermate, indubbiamente quello attuale costituirebbe un punto di entrata decisamente conveniente.
Il problema è che nubi nere sembrano addensarsi all'orizzonte: basti pensare ai non entusiasmanti dati usciti martedì sul Pil dell'Eurozona, che ha visto una crescita congiunturale allo 0,2%, una cifra al di sotto delle attese (+0,3%) e in via di dimezzamento rispetto al secondo trimestre del 2018. In pratica le aspettative di ripresa nel resto del mondo e una maggiore convergenza con gli Stati Uniti, magari in lieve rallentamento, sembrano oggi piuttosto scricchiolanti.
Il quadro attuale presenta quindi una scarsissima visibilità macro, dove alla prima delusione sono tutti pronti a togliere i soldi dal tavolo precipitosamente. In un simile scenario che cosa si può fare? La parola chiave sembra che sia riduzione del rischio, vista la forte skewness al ribasso presente oggi nel sistema. Di conseguenza, probabilmente, fintanto che le nuvole non se ne andranno dall'orizzonte conviene ridurre la propria esposizione netta complessiva.
Oggi, infatti, siamo in acque inesplorate da tempo: tanto per fare un esempio, questo 2018 rappresenta la prima annata nella storia dei mercati azionari statunitensi in cui vi sono state due correzioni dell’S&P 500 dopo che sono passati meno di 30 giorni dai massimi storici. Il tutto dopo un 2017 trionfale caratterizzato da una serie continua di nuovi record e una volatilità minima in giro per il mondo. Ovunque, poi, è praticamente tutto o in bear market o alle soglie di tale fenomeno. Anche per quanto riguarda il principale indice statunitense, ai minimi con oltre un terzo dei titoli in esso compresi, si trovava già lunedì nel regno del mercato ribassista.
È anche possibile che la ripresa di metà settimana si consolidi e che ciò che abbiamo visto di recente rappresenti un episodio estemporaneo, nel frattempo però alcuni strumenti possono permettere di tirare un minimo il fiato nei prossimi mesi. Uno di questi è il Vix, che raccoglie le volatilità implicite sulle opzioni sull'azionario Usa e che quindi fornisce una misura del rischio percepito sui mercati, sul quale già l'anno passato era consigliabile una posizione lunga. Soltanto che all'epoca questo indicatore si trovava ai minimi storici, pertanto la logica era coprire i guadagni dai rischi derivanti da un eccesso di euforia. Oggi il quadro ha ben poco in comune, anche se però alcune peculiarità permangono.
Specificatamente comunque il Vix in quest'ultima tornata di ribassi ha finora toccato un massimo poco sotto 29 (attualmente siamo intorno a 21), mentre lo scorso febbraio si schizzò fino alle soglie di 39. È vero che all'epoca molti investitori erano corti di volatilità, un trade in verità folle, ma è altrettanto indubbio che finora abbiamo assistito a scene di nervosismo e non di panico.
Questa considerazione appare ancora più fuori discussione se si dà un'occhiata alle scadenze più lontane nel tempo del Vix, che mostrano livelli molto più bassi con una struttura della curva a termine invertita. Ciò permette di assumere tutto sommato con una spesa ragionevole per il proprio budget di rischio posizioni di copertura sul lungo periodo con la possibilità di poterle poi ruotare sulle scadenze più a breve nel caso di ritorno a una forma crescente della curva delle scadenze.
Pensare di affrontare i listini azionari globali senza un'adeguata protezione al giorno d'oggi non appare una scelta eccessivamente saggia.