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Che cosa porterà la fine del quantitative easing della Bce
Alla fine dell’anno la Banca Centrale Europea terminerà il quantitative easing (Qe). Questo programma prevede l’acquisto di titoli di stato e altre obbligazioni (anche corporate) per 60 miliardi al mese: in pratica la Bce, in collaborazione con le banche centrali nazionali, emette denaro per comprare i bond governativi e di conseguenza tiene bassi gli interessi di queste obbligazioni. Molto in sintesi questa operazione raggiunge diversi risultati, oltre a minimizzare l’esborso per interessi degli stati: immette liquidità nel sistema, alza l’inflazione, che fino a pochi anni fa era bassissima, e offre con i tassi ai minimi un forte stimolo agli investimenti.
A questo punto che cosa succederà nel momento in cui i 60 miliardi della Banca Centrale Europea non entreranno più sui mercati? Innanzitutto va fatta una premessa: l’acquisto di nuovi bond verrà sospeso, ma i bond che l’istituto di Francoforte tiene nelle sue casse verranno rinnovati alla scadenza, a differenza di ciò che ha fatto la Fed quando ha sospeso il suo Qe. Ciò significa che l’effetto della fine del programma di sostegno non sarà pesantissimo. Anche i tassi di riferimento almeno fino alla metà del 2019 non verranno toccati e di conseguenza finanziarsi per le imprese dovrebbe continuare a essere a buon mercato (almeno per il momento). Anche le banche potranno continuare a prendere denaro a costi negativi.
Ciò non toglie però che alcuni effetti ci saranno e non lievi. E purtroppo tutt’altro che positivi per l’Italia, che dell’Europa è l’anello debole. Vediamo i principali.
Titoli di stato. Attualmente il problema maggiore dei titoli di stato italiano è uno spread molto alto rispetto al Bund, vale a dire il titolo tedesco che viene considerato come riferimento da parte dell’intero mercato. Con un differenziale intorno a 300 punti, come avviene attualmente, lo stato nel giro di alcuni anni rischia di pagare somme molto pesanti sotto forma di interessi ai suoi creditori.
Ma non è finita qui: se si considera che i 300 punti base sono stati raggiunti con il quantitative easing ancora in corso, che cosa succederà quando non ci sarà più? A quale livello si arriverà? Gli scenari che si aprono non sono dei migliori.
Meno investimenti. Un incremento generale dei tassi porterà a una diminuzione degli investimenti e della produzione. Anche solo il fatto che lo stato avrà una minore disponibilità inciderà in misura non leggera su questo fenomeno. In un paese che ha forti problemi di crescita e che finora è stato il fanalino di coda dell’Unione Europea un costo del denaro che cresce non è sicuramente un fatto positivo.
Banche. Per quanto riguarda le banche, l’aumento del costo del denaro può avere effetti sia positivi, sia negativi. La parte che favorisce gli istituti di credito è che con i tassi in rialzo prestare denaro sarà più remunerativo di oggi e i margini potrebbero salire. Il fatto negativo è che il sistema creditizio italiano è pieno di titoli di stato sui quali è stato investito il patrimonio delle aziende di credito. Nel momento in cui crescono gli interessi dei bond governativi, quelli già emessi che hanno tassi inferiori perdono valore: di conseguenza le banche si troverebbero di colpo impoverite e nella necessità di ricapitalizzare. Considerando che alcuni istituti italiani hanno già oggi forti difficoltà, trovarsi in una situazione del genere porterebbe diverse banche in una situazione molto critica.
Inflazione. Quanto fu lanciato il quantitative easing, uno dei principali scopi dichiarati fu di portare l’inflazione, che allora era a zero, almeno al 2% all’anno. Secondo gli ultimi dati disponibili attualmente l’Europa ha un incremento del costo della vita del 2,07%: in pratica l’obiettivo iniziale è stato faticosamente raggiunto. Ma nel momento in cui venisse meno la liquidità, gli investimenti calassero e le banche fossero costrette a tirare i remi in barca, molto difficilmente questo tasso di inflazione resterebbe.