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La Fed sosterrà le small cap Usa
Nel primo semestre le azioni delle società statunitensi di piccole e medie dimensioni sono cresciute più del doppio rispetto alle loro omologhe più grandi, e ci sono ragioni fondate per credere che questo sia solo l’inizio.
Gli studi sulla storia del mercato azionario statunitense e le attuali condizioni economiche suggeriscono che possa trattarsi dell’inizio di un lungo periodo di sovraperformance. Nei primi sei mesi del 2018 l’indice Russell 2000 ha guadagnato il 7,7% da inizio anno, rispetto al 2,7% messo a segno dall’indice S&P 500. Questa sovraperformance segnala un drastico cambiamento del sentiment, se si considera che nel 2017 le società di minori dimensioni non riuscivano a stare al passo del mercato più ampio.
Se le condizioni di fondo rimarranno favorevoli, potremmo anche trovarci in una fase di svolta per i gestori attivi operanti nell’universo delle small cap Usa, molti dei quali hanno faticato a sovraperformare il benchmark negli ultimi anni. Le correlazioni incrociate nel mercato azionario sembrano diminuire.
Se questa tendenza fosse confermata, i gestori attivi avranno più occasioni per sovraperformare i loro concorrenti passivi, in quanto un’efficace selezione dei titoli può rivelarsi vincente in questo contesto.
Diversi fattori lasciano intendere che non si tratti di un semplice slancio estemporaneo.
Riscontri empirici evidenziano infatti che le società di minori dimensioni tendono a sottoperformare le large cap quando i tassi d’interesse scendono ma a sovraperformare quando i tassi salgono. Dal 1962, anno a cui risalgono i primi dati affidabili, si sono susseguiti tre periodi ben distinti per i tassi d’interesse, con tre esiti netti per le small cap – e in questo momento potremmo essere alle porte del quarto ciclo.
Tra il 1962 e il 1981/82, i rendimenti dei Treasury decennali passarono da circa il 4% al 15% e, parallelamente, le small cap statunitensi registrarono una notevole sovraperformance: mentre l’S&P 500 guadagnava il 7,6% annuo, le società a bassa capitalizzazione rendevano il 13%.2 Successivamente, dal 1982 fino allo scoppio della bolla dotcom nel 2001, i rendimenti dei Treasury crollarono dal 15% a circa il 4%. Mentre i tassi d’interesse diminuivano, il rendimento delle società a bassa capitalizzazione si fermava al 13% annuo mentre quello dell’S&P 500 sfiorava il 17%.
Poi siamo entrati nel terzo periodo. Dal 2003, i rendimenti dei Treasury si sono mossi in un range piuttosto ristretto mentre small e large cap si contendevano la sovraperformance con esiti incerti e altalenanti, fornendo un quadro contrastato.
Un modo alternativo per ripartire i dati consiste nel dividere l’intero periodo di 56 anni in due gruppi: i mesi in cui i tassi d’interesse sono saliti e quelli in cui sono scesi. Anche questa analisi svela che le società a bassa capitalizzazione tendono a brillare nelle fasi di rialzo dei tassi.
Nei mesi in cui i tassi d’interesse salivano, l’S&P 500 rendeva il 6,1% a fronte del 14% delle small cap; viceversa, nei mesi di calo dei tassi d’interesse le large cap rendevano il 14,9% mentre le small cap il 10%.
Perché il rialzo dei tassi favorisce le società più piccole
Perché le small cap dovrebbero sovraperformare le large cap quando i tassi aumentano? Il motivo è in parte riconducibile alla loro esposizione all’economia interna statunitense. Le small cap dipendono fortemente dalle condizioni dell’economia statunitense e un aumento costante dei rendimenti dei Treasury è indice di una fiducia crescente. Le società a bassa capitalizzazione generano circa l’80% dei loro fatturati sul mercato interno mentre per le loro omologhe più grandi il dato equivalente è molto inferiore, fermo attorno al 55%-60% . In altre parole, le small cap replicano in qualche modo la performance dell’economia interna mentre le large cap tendono a riflettere le condizioni prevalenti sulla scena internazionale.