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Anche l'Europa non è al sicuro
Ogni giorno che passa la saga degli scontri fra Cina e Usa si arricchisce di nuovi capitoli, voci e ipotesi. Ancora non si sa che cosa potrà davvero accadere, poiché le nuove tariffe sono sì entrate in vigore, ma non per le merci in transito, il che lascia spazio per una possibile soluzione al prossimo G-20 qualora dovessero incontrarsi Xi Jinping e Donald Trump. Il problema di fondo, però, è che la tensione fra queste due potenze è comunque destinata a perdurare e rischia di coinvolgere come al solito il vaso di coccio Europa.
Quest'ultima ha magagne e punti di forza piuttosto noti: in particolare, fra invecchiamento della popolazione, politiche di austerità e altri fattori, sempre di più la gigantesca area economica di cui l'Italia fa parte si trova a dipendere dal commercio estero, che mantiene una sua competitività e vitalità grazie alla ricchezza del tessuto industriale continentale. Si tratta in fondo di una posizione non molto diversa da quella delle varie piccole potenze asiatiche. Il rischio per il Vecchio continente è di trovarsi a essere vittima di un fuoco incrociato.
Nello specifico innanzitutto non va dimenticato che l'atteggiamento degli Stati Uniti non è stato particolarmente amichevole neppure nei confronti degli europei, dato che nuove tariffe sono state introdotte anche su una serie di merci di provenienza Ue, con la minaccia, ripetuta più volte, di andare a coinvolgere il vitale comparto auto.
Inoltre se la situazione fra Cina e America precipitasse, non ci sarebbe da stupirsi se accadesse una serie di fenomeni. Innanzitutto l'economia globale rallenterebbe non poco. Ciò comporterebbe che un po' tutti si troverebbero con l'unica opzione di pompare liquidità all'interno dei rispettivi sistemi per riavviare un po' le cose. In particolare la Cina probabilmente dovrebbe gestire un saldo di partite correnti in deterioramento, una moneta svalutata e la solita montagna di debiti interni. In simili frangenti è difficile non pensare a uno scenario in cui le autorità del Dragone spingano per eliminare consumi voluttuari quali turismo, moda, cibi e bevande di alta qualità, automobili di grossa cilindrata e altri beni di lusso. Tutti ambiti in cui l'Europa eccelle e che costituiscono pure una non indifferente parte della capitalizzazione dei listini europei.
L'effetto rischierebbe poi di essere esacerbato se Pechino spingesse in maniera esasperata sul nazionalismo, anche questo uno scenario non esattamente incredibile. È vero che le questioni sono soprattutto fra Stati Uniti e Repubblica popolare, ma è altrettanto fuori discussione che essere percepita come alleata degli Usa non posizionerebbe l'Europa in un situazione facile.
Un anticipo di ciò che potrebbe essere il futuro prossimo si è visto già nell'ultima settimana, dopo che i titoli legati all'auto di alta gamma e al fashion hanno subito ingenti perdite, che in diversi casi si sono configurate come l'inizio di una rapida e brutale correzione. Se poi infine consideriamo anche l'effetto indiretto dovuto alla presenza nell'Eurozona di economie molto fragili come la nostra, i cui asset appaiono sempre rapidi a correlarsi con chi in quel momento sta subendo maggiori perdite negli scenari di avversione al rischio, allora davvero quello che si erge davanti a noi si configura come uno scenario alquanto incerto.
In un futuro prossimo, infatti, potremmo vedere tranquillamente i mercati europei con le grandi aziende dei prodotti premium alle prese con una crisi strutturale nel loro mercato principale al mondo, un calo serio dei corsi del petrolio (con logiche conseguenze sui conti di una parte importante dei listini europei) e gli asset italiani con un premio al rischio sempre più ampio.