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Canale di Suez: due imprese su tre toccate dalla crisi
Le imprese italiane, preoccupate per la crisi del Mar Rosso, cercano soluzioni per mitigare i problemi rivedendo contratti e assicurazioni. Temono un peggioramento del quadro e sostengono la partecipazione del Paese alla missione navale europea. Cautela nelle assunzioni e nelle stime economiche.
La grave crisi che interessa attualmente il Canale di Suez e il Mar Rosso sta compromettendo l’attività di molte imprese italiane, che accusano crescenti criticità a causa dei ritardi nelle consegne, dell’aumento del costo delle commodity e delle difficoltà incontrate negli approvvigionamenti. Questi problemi sono denunciati da una larga parte del sistema produttivo del nostro Paese, anche se al momento spiccano le conseguenze accusate dalle società presenti in un’area ad alta densità industriale come quella che abbraccia il capoluogo lombardo e i suoi dintorni. Un quadro al riguardo emerge dal sondaggio di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza (con le risposte di 323 imprese, col 76% da Milano e area metropolitana, 20% da Monza e Brianza e 4% da Lodi).
Nel Mar Rosso transita il 12% del traffico merci mondiale
Nel dettaglio, due imprese su tre subiscono le conseguenze della grave crisi nel Mar Rosso per gli attacchi dei ribelli Houthi, che determinano la forte riduzione del passaggio di navi nel Canale di Suez da dove transita, in condizioni normali, il 12% del traffico merci mondiale. Tra le categorie più rappresentate nello studio, le attività commerciali non alimentari al dettaglio e all’ingrosso (16 e 12%), la ristorazione e i rappresentanti di commercio (11%), degli artigiani (6%), dei servizi alle imprese e delle attività di trasporti e logistica (5%). Tra di loro, segnala Confcommercio, c’è grande preoccupazione, ma anche la consapevolezza che non si possa restare con le mani in mano e, perciò, cercano di attrezzarsi per trovare soluzioni che, perlomeno, riducano il problema.
Caro-commodity, ritardi, export, approvvigionamenti
Gli attacchi nel Mar Rosso stanno causando difficoltà al 66% delle imprese dell’area, due su tre. I problemi maggiori riguardano, soprattutto, i ritardi nelle consegne (29%), il rincaro delle materie prime (26%), delle merci vendute (21%) e la difficoltà di approvvigionamento. Alcuni tra gli operatori toccati dalla crisi hanno segnalato (tra le risposte multiple) anche il calo delle esportazioni (5%). Si tratta di percentuali di tutto rilievo, considerato che ben il 38% delle imprese che hanno risposto al sondaggio svolge in modo specifico attività di import/export. Gli imprenditori stanno cercando di correre ai ripari: il 58% di loro, infatti, cerca soluzioni alternative logistiche (56%) e pone attenzione agli aspetti contrattuali (33%) e assicurativi (11%).
Si teme un ulteriore peggioramento della crisi
Mettere a punto soluzioni alternative è la priorità per l’84% delle imprese, secondo cui la situazione nel Mar Rosso potrebbe peggiorare ulteriormente. Ecco perché una larga maggioranza (74%) ritiene che sia utile la partecipazione del nostro Paese alla missione navale europea per garantire la sicurezza delle navi mercantili in transito. Il problema è stato evidenziato da Riccardo Garosci, il presidente di Aice e vicepresidente di Confcommercio MLMB per l’internazionalizzazione. Questi, sottolineando come i notevoli problemi provocati dagli attacchi dei ribelli Houthi abbiano ricadute su tutta la filiera, ha suggerito iniziative immediate come il supporto alle imprese in campo logistico, assicurativo e contrattuale da parte di Aice.
Previsioni di crescita incerte, assunzioni congelate
Marco Barberi, segretario generale di Confcommercio MLMB, lamenta che le conseguenze del calo del traffico navale nel Canale di Suez si aggiungono ai problemi creati da Covid, guerre, inflazione e dal caro commodity ed energia. Una situazione che – aggiunge - appesantisce le attività del commercio già penalizzate da anni di crisi e da crescenti costi su tasse e tariffe. Dal sondaggio emergono anche le stime economiche per il 2024. Il 31% delle imprese prevede una crescita (fino a +10% per il 90%), il 35% un calo rispetto al 2023 (fino a –10% per il 78%) e stabilità per il 34%. Per quanto riguarda le assunzioni, c’è poca propensione sia a tempo indeterminato (l’80% non le prevede) sia a tempo determinato (l’84%), ma l’89% prevede di confermare il proprio personale.