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CGIA: nel 2020 fatturato Pmi crolla, ma non per il web
A causa della pandemia nel 2020 il giro d’affari delle Pmi è sceso di 420 miliardi, una perdita coperta per solo il 7 pct dagli aiuti dello Stato. Divergente il trend del fatturato delle imprese italiane, diminuito del 13,5 pct, rispetto a quello dei giganti del web, aumentato del 17 pct.
Il 2020 ha riservato alle Pmi italiane una lunga doccia gelata: a causa della pandemia, esplosa a febbraio e con una seconda ondata nel finale dell’anno, la loro perdita di fatturato ammonta complessivamente a 420 miliardi di euro. Lo stima la CGIA di Mestre, secondo cui il ‘salvagente’ lanciato dallo Sato ha avuto un impatto insignificante. Il tasso di copertura è stato infatti di appena il 7% tenuto conto che, al netto delle misure a sostegno della liquidità e degli effetti dello slittamento delle scadenze fiscali, il Governo ha stanziato 29 miliardi di euro di aiuti diretti al sistema colpito dal Covid-19.
-13,5% per le Pmi italiane, +17% per i giganti digitali
Il giro d’affari delle imprese italiane rispetto al 2019 risulta diminuito del 13,5 per cento, visto che di norma ammonta in totale a poco più di 3.100 miliardi di euro. Di tutt’altro segno, invece, i risultati ottenuti dalle multinazionali del web presenti nel nostro Paese. In attesa del dato annuale, secondo l’area studi di Mediobanca, nel primo semestre del 2020 il fatturato dei big digitali è aumentato del 17 per cento.
Insufficienti anche i fondi ‘ristori’
In questo contesto è comunque necessario precisare, afferma il segretario della CGIA, Renato Mason, che alle Pmi che hanno subito i contraccolpi più pesanti della crisi, ovvero quelle che hanno dovuto chiudere per decreto, i ristori erogati dall’Esecutivo hanno coperto mediamente il 25% circa del calo del fatturato. Le misure di sostegno al reddito approvate, infatti, sono andate in larghissima parte alle attività che hanno registrato un crollo del fatturato di almeno il 33% rispetto al 2019. Resta quindi il fatto che anche per queste realtà gli aiuti sono stati insufficienti.
Le filiere più in affanno
La crisi generatasi con la pandemia ha interessato tutti i settori economici del Paese. Escludendo gli alberghi, i ristoranti, i bar, le pasticcerie e tutte le attività che ruotano attorno al settore del turismo, la CGIA ha individuato le aree maggiormente colpite nella filiera del trasporto persone (taxi, ncc, bus operator) e in quelle degli eventi (congressi, matrimoni, cerimonie, etc.), degli ambulanti, soprattutto con posteggi presso le aree interessate da eventi, stadi (‘fieristi’), dello sport, tempo libero, discoteche, intrattenimento, parchi divertimento e tematici. Tra i più colpiti anche attività culturali e spettacolo, il commercio al dettaglio (in particolare abbigliamento, calzature, libri e cartoleria).
La crisi delle città d’arte
Il turismo è la prima industria del Paese ed è anche quella che più di tutti gli altri settori ha subito gli effetti del Covid. Una realtà che spinge gli analisti della CGIA a chiedersi perché mai nel ‘Recovery Plan’ il Governo abbia previsto di investirci solo 3,1 miliardi dei 209 messi a disposizione da Bruxelles con il Next Generation Eu. La crisi in cui sono piombate le città d’arte ad alta vocazione turistica è infatti drammatica. Tra i Comuni individuati dal ‘decreto Agosto’ che nel 2020 hanno subito un crollo verticale delle presenze turistiche straniere ci sono Venezia, Firenze, Pisa, Roma, Verona, Milano, Matera, Padova, Siracusa, Napoli, Cagliari, Genova, Palermo, Torino e Bari. È molto probabile, secondo gli esperti, che queste città continueranno a subire gli effetti della crisi anche nel 2021.