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Dollaro: il mondo ne sarà sempre meno dipendente
La debolezza che ha colpito il dollaro dopo le fasi più acute dell’emergenza ha tutti i connotati per essere strutturale. Lo stima Schroders, secondo cui il biglietto verde non può vantare più i rendimenti del passato, mentre l’euro è pronto a rosicchiargli parte del suo ruolo di valuta rifugio.
Ci sono segnali che mostrano che il processo di de-dolarizzazione, che richiederà 5-10 anni, è già iniziato. Una parte del suo ruolo di valuta di riferimento potrebbe essere incorporata dall’euro. Il via a questo sviluppo è arrivato sulla spinta emotiva che ha colpito il mondo durante le fasi più acute dell’emergenza Covid. Il biglietto verde ha toccato il picco a marzo, durante i mesi più turbolenti per i mercati, grazie a un’impennata della domanda e alla volontà delle istituzioni globali di aumentare le riserve di dollari. Da allora, però, la sua traiettoria ha cambiato direzione, indebolendosi del 10% circa dal picco di marzo. Dopo un movimento così rapido è probabile che vedremo un periodo di consolidamento, con il dollaro che potrebbe rafforzarsi se ci sarà un ritorno del Covid-19 nei mesi invernali.
I motivi della recente debolezza della divisa Usa
Tuttavia, secondo Robbie Boukhoufane, fixed income portfolio manager di Schroders, il calo che abbiamo visto da marzo rappresenta solo l’inizio di un trend discendente nel medio/lungo termine. La recente debolezza del dollaro è legata sia alle politiche di supporto, sia al miglioramento dell’economia nel mondo. Un mix, assieme all’abbondante liquidità, che ha favorito gli asset rischiosi con effetti negativi sul dollaro. Inoltre Asia ed Europa hanno controllato il virus in modo più efficiente degli Usa, con effetti positivi sulle valute locali. L’Europa ha inoltre l’arma del Recovery Fund che, stima l’esperto, porterà miglioramenti strutturali per la crescita europea, dato che dimostra una forte volontà politica di supportare il progetto europeo e un passo avanti verso una vera unione economica.
L’economia europea è in ‘pole position’
Un’integrazione più stretta, con maggiore supporto per i Paesi membri più deboli sul piano economico, rende l’Europa un’alternativa a minor rischio o più ‘rifugio’ rispetto agli Usa. Senza contare il fatto che il Recovery Fund, prevedendo anche investimenti in digitalizzazione ed economia verde, potrebbe dare impulso alla crescita della produttività sul lungo termine nel Vecchio continente. Per contro, sottolinea Boukhoufane, dall’altra parte dell’Oceano c’è la crescente incertezza riguardo alle elezioni negli USA, con potenziali effetti negativi per gli asset e il dollaro stesso. Secondo l’esperto sono quattro i fattori essenziali da monitorare per capire quale sarà l’indirizzo del dollaro: finanziamenti, tassi di interesse, performance relativa degli asset USA e bilancio della Fed.
Il differenziale con i rendimenti Usa ridotto ai minimi
Per quanto riguarda i tassi, dopo i tagli da parte delle principali Banche Centrali, e soprattutto della Fed, i differenziali sono ora ai minimi. Così il dollaro ha perso appeal, dopo un trend favorevole che lo ha accompagnato per anni. Anche la congiuntura Usa affascina meno dopo che, grazie alla maggiore crescita del Paese (sia del Pil sia degli utili aziendali), ha fatto da locomotiva agli asset Usa. La Fed ha inoltre deciso di modificare il suo ‘framework’ per permettere all’economia di surriscaldarsi, con un’inflazione potenzialmente superiore al target. Se sarà la sola ad adottare una politica simile, ciò peserà ulteriormente sul dollaro. Con la crescita delle stime sull’inflazione, abbiamo visto – rileva Boukhoufane - una correlazione crescente tra rendimenti reali USA e il dollaro.
L’euro pronto a sottrare al dollaro parte del suo ruolo
La tendenza del dollaro sul lungo termine dipenderà dalla rapidità con cui vedremo una ‘de-dollarizzazione’. Il principale fattore è l'emergere di una o più alternative che fungano da moneta di riserva a livello mondiale. In questo senso vedremo probabilmente una minore dipendenza dal dollaro come valuta prediletta per transazioni internazionali e commodity. Sebbene con tempistiche incerte, sembra sempre più probabile che mercati e Governi cercheranno una minore dipendenza dal dollaro. Questo potrebbe accelerare se l'Eurozona spingesse verso l'integrazione dei 19 membri: il Recovery Fund in questo senso è rilevante, così come lo sarebbero gli sforzi per rafforzare il settore bancario. Se ciò accadesse, l'euro potrebbe sottrarre al dollaro parte del suo ruolo di valuta di riserva.