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Inflazione: Omicron spingerà la Fed ad alzare i tassi
Le costanti pressioni inflative negli Usa agitano più di un fantasma: dalla stagflazione a una stretta del credito da parte della Fed prima del previsto. Lo sostengono gli esperti di Schrdoers, secondo cui un primo rialzo dei tassi potrebbe arrivare entro marzo. Preoccupano gli effetti d Omicron.
Per la Fed è tempo di agire: ora il problema per i mercati (e gli investitori) è capire con quale tempistica e la modalità con cui stringerà le redini del credito per raffreddare la fiammata dei prezzi. Il Presidente, Jerome Powel, ha comunque già tracciato il sentiero quando, nell’audizione al Congresso per la riconferma, ha sottolineato che la Banca centrale statunitense avrebbe impedito un "radicamento" di alti livelli di inflazione. E questi livelli sembrano già stati ampiamente raggiunti. Alla fine dello scorso anno l’inflazione USA ha, infatti, toccato i massimi dal 1982, con l’indice che si è portato al 7% tendenziale. Questi dati, anche se erano ampiamente attesi, rafforzano la sensazione di un prossimo inasprimento della politica monetaria da parte della Fed.
Il rischio di alzare troppo presto, ma la strada è tracciata
C’è però, al momento, un freno che rende complicato arrivare al rialzo dei tassi negli Usa: la diffusione della variante Omicron che, secondo Keith Wade, chief economist & strategist di Schroders, sta sconvolgendo le catene di approvvigionamento nel Paese e, di riflesso, rappresenta più di un’ombra per il ciclo economico. In sostanza, se la Fed alzerà troppo presto l’assicella dei tassi c’è il rischio che la ripresa venga strozzata. In caso contrario, sul tappeto resterebbero sempre le tensioni inflative. Guardando agli ultimi dati, il rincaro delle commodity ha giocato un ruolo decisivo nell’aumento del tasso dei prezzi al consumo. Tuttavia, anche l’inflazione core (esclusi alimentari ed energia) è aumentata bruscamente al nuovo record dal 1991, al 5,5%.
Preoccupa l’inflazione di fondo
Di riflesso, pur considerando che una riduzione dei prezzi dell’energia (come quella vista a dicembre) potrebbe essere d’aiuto, a differenza dei cicli del passato per frenare le tensioni non basterà a far scendere l’inflazione headline. Sarà necessario, secondo l’economista, anche un calo delle pressioni "core", derivanti dalle difficoltà da parte dell’offerta a soddisfare la domanda, a causa della pandemia. Inoltre, i cambiamenti delle preferenze indotti dalla pandemia hanno giocato un ruolo importante in quanto i cittadini, nell’impossibilità di accedere ai servizi di persona, hanno comprato molto di più online. Anche l’aumento dei prezzi delle auto ne è un esempio, con le persone che cercano di evitare i trasporti pubblici.
La pandemia continua a dettare le condizioni
I colli di bottiglia negli approvvigionamenti - che avevano appena iniziato a diminuire - sono tornati a "stringersi" di nuovo con la propagazione della variante Omicron e i numerosi contagi tra i lavoratori. Al riguardo, la situazione in Cina è particolarmente preoccupante. La politica "zero Covid" implica che un piccolo focolaio può portare un’intera città al lockdown. Di conseguenza, diverse aziende come Samsung, Micron o Volkswagen hanno dovuto modificare la produzione dopo le restrizioni in città come Xi’an. Sembra improbabile, secondo Wade, che la Cina abbandoni questa politica e, considerando il ruolo che questo Paese ha nella fornitura di beni all’economia mondiale, possiamo di conseguenza aspettarci ulteriori disruption.
Attenzione, pericolo stagflazione
Sullo sfondo Omicron sta agitando il fantasma della stagflazione (bassa crescita e alta inflazione), non solo negli Usa, ma nel resto del mondo. Già un primo effetto della variante è evidente: sta spingendo ulteriormente la domanda verso i beni a discapito dei servizi, esacerbando lo squilibrio tra domanda e offerta e accentuando l'inflazione. Gli ultimi dati, infatti, mostrano un rincaro dei beni. Ma a preoccupare è l’aumento dei servizi sottostanti, in gran parte nel mercato residenziale, che tende a essere ciclico. I costi degli alloggi, che rappresentano quasi un terzo dell’indice dei prezzi al consumo, sono balzati del 4,1% nel 2021, top dal 2007, prima dello scoppio della bolla immobiliare. Un segnale che l'inflazione sta prendendo piede.
Powell non è disposto ad aspettare
L’inflazione sembra quindi destinata a salire a livello core nel primo trimestre, anche se dovesse scendere l’inflazione headline. Da lì in avanti, con l’affievolirsi di Omicron, si prevede un allentamento dei problemi nelle catene di approvvigionamento e nel mercato del lavoro. Tuttavia, stima Wade che sarebbe troppo tardi per la Fed, che vedrà l’inflazione ancora al picco nel meeting del 15-16 marzo. I timori che l’aumento dei prezzi porti a mercati del lavoro più rigidi, spingendo i salari al rialzo, implica che il rischio di un radicamento dell’inflazione resta significativo e che quindi probabilmente la Fed alzerà i tassi. Anche perché, con la fine del programma di acquisto di asset nello stesso mese, la Banca si sentirà libera di aggiustare il costo del credito.
Possibile una stretta più rapida e sostanziosa
L’economista, guardando oltre marzo, si aspetta ulteriori rialzi nel 2022 e nel 2023, con la Fed che porterà i tassi all’1,5% entro giugno 2023. Intanto, si aspetta che la Fed inizi a ridurre il suo bilancio da 8.700 miliardi di dollari da ottobre. Omicron sta portando la Fed ad agire più velocemente, ma c’è la possibilità di un rialzo dei tassi più rapido e sostanzioso. Nello scenario di un radicamento dell’inflazione - a causa di un’estensione delle disruption alle catene di approvvigionamento o di una spirale al rialzo dei salari -, la Fed potrebbe essere costretta ad agire in modo più aggressivo. In questo caso, c’è il rischio che i tassi sui Fed fund possano salire a un picco quasi del 3%. Tuttavia, Wade non crede che i tassi arriveranno a toccare tali livelli.