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Inflazione: per combatterla gli Usa rischiano la recessione
La Fed è chiamata a una partita difficile: imbrigliare l’inflazione senza far cadere gli Usa in recessione. Secondo gli esperti, però, la sua azione è partita in ritardo per un soft landing e, inoltre, l’obiettivo è reso oggi più arduo da una serie di fattori globali come la guerra e il commercio.
La corsa dell’inflazione e la sua persistenza hanno colto di sorpresa tutti: dagli economisti alle Banche centrali, dagli investitori ai consulenti finanziari. E tutti, ora, cercano di capire quanto sia credibile il fantasma della recessione che si sta agitando sullo sfondo perché per ‘sconfiggerlo’ si è messa in moto l’azione restrittiva della politica monetaria destinata a impattare sull’economia reale. Una sintesi di quello che accade arriva dal vice-presidente della Fed, Lael Brainard, il quale ha candidamente ammesso che l’inflazione è molto alta e farla scendere è la priorità. Una valutazione che anticipa nuovi rialzi dei tassi Usa e che, detta da un banchiere noto per la sua posizione da colomba, acquisisce un significato ancora più forte.
Obiettivo ‘soft-landing’, ma la Fed è partita in ritardo
Con tutta probabilità la Fed si è mossa in ritardo rispetto ai segnali di tensione avvertiti sui mercati, ma dopo l’avvio ha comunicato una serie di rialzi dei tassi e la riduzione del suo bilancio attraverso il quantitative tightening. L’orizzonte è diventato quindi più chiaro: Keith Wade, chief economist e strategist di Schroders si aspetta che la Banca federale Usa alzi i tassi in ognuno dei prossimi meeting in agenda di quest’anno, dopo il rialzo di 50 punti base deciso in maggio, che ha portato il costo del denaro all'interno di un range tra lo 0,75% e l'1%. Ma la questione è se la Fed riuscirà a garantire un ‘soft-landing’, cioè ridurre l’inflazione senza innescare una recessione. L’obiettivo si preannuncia alquanto difficile.
Ristabilire l'equilibrio tra domanda e offerta
In pratica, la politica guidata da Jerome Powell dovrà ristabilire l’equilibrio tra domanda e offerta, in modo che il rallentamento dell’economia sia sufficiente ad allentare le pressioni sui salari e sui prezzi. L’azione, secondo l’esperto di Schroders, dovrà essere di conseguenza molto graduale per determinare un rallentamento del tasso di crescita al di sotto del trend, evitando una recessione che arriverebbe dal calo della produzione e da un rapido aumento della disoccupazione. La storia ci insegna comunque che tutte le recessioni degli anni ’80 e ’90 sono state conseguenti a un brusco aumento dell’inflazione, come quello che stiamo vivendo. Anche allora si parlava molto di ‘soft landing’ ma questo obiettivo della Fed, ricorda Wade, non fu mai rispettato.
Attenzione all’inflazione vischiosa
Ci sono tre motivi per cui le probabilità di una recessione sono attualmente elevate. In primo luogo, sostiene l’economista, sembra che l'inflazione si stia consolidando: è elevata e diffusa, mentre il mercato del lavoro è rigido. L'aumento dei prezzi ‘vischiosi’ è particolarmente preoccupante, poiché per loro natura si muovono più lentamente e impiegano più tempo a scendere. Ciò consentirebbe di avere più tempo per lo sviluppo di effetti di secondo round, in cui i salari seguono i prezzi più alti, portando a un'ulteriore serie di aumenti dei prezzi. In questo contesto, potrebbe essere necessaria una recessione per far scendere l'inflazione. In secondo luogo, l’azione monetaria è uno strumento poco incisivo: agisce in ritardo e non considera l’andamento della fiducia.
I fattori globali che incidono sulle scelte della Fed
Infine, secondo Wade, questa decisione sulla politica monetaria oggi è resa più complessa da ciò che sta accadendo su altri fronti. Il rialzo dei tassi, in risposta all’inflazione, sta accomunando molti Paesi e non solo gli Stati Uniti. Di riflesso, il commercio globale e la domanda esterna saranno più deboli. L’economia europea risente molto della guerra in Ucraina e degli sforzi per imporre l’embargo sull’energia russa. Il rincaro generalizzato delle commodity agisce come una tassa sui consumi, riducendo i redditi reali e la spesa. La Cina non sta alzando i tassi, ma la politica ‘zero Covid’ sta pesando sulla sua economia. Infine, la politica fiscale sta facendo marcia indietro dopo il massiccio sostegno nella fase più acuta del Covid.
Il prezzo da pagare potrebbe essere salato
In sintesi, il compito di garantire un ‘soft landing’ appare al momento particolarmente impegnativo. I tassi Usa sono destinati a salire ancora poiché partono da livelli bassi (inferiori al tasso di ‘equilibrio’). L’economista prevede quindi da parte della Fed altri cinque rialzi consecutivi dei tassi d’interesse, con un picco dei tassi sui fed funds al 2,5-2,75% che dovrebbe essere toccato a fine anno. Alcuni ritengono che questi valori siano coerenti con una politica neutrale della Banca centrale. Tuttavia, secondo Wade, visti gli attuali venti contrari, la stretta potrebbe essere tale da causare un ribaltamento dell'economia degli Stati Uniti. L'inflazione sarà sotto controllo, ma il prezzo da pagare potrebbe essere una recessione.