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Intelligenza artificiale: poche imprese italiane la utilizzano
Crescono le imprese italiane che hanno buona autonomia o una forte digitalizzazione delle loro funzioni, ma rimane alta la quota di quelle che sono ancora agli inizi o legate a una gestione tradizionale. Principale ostacolo all’adozione dell’IA è la carenza di competenze, difficili da reperire.
L’adozione dell’intelligenza artificiale (IA), l’innovazione tecnologica destinata a stravolgere l’economia nel prossimo futuro, trova gli imprenditori italiani in ritardo. Il panorama che emerge, secondo una ricerca delle Camere di Commercio, è desolante: meno del 10% delle imprese la utilizzano e solo il 15% prevede di investirci nei prossimi tre anni. Sicuramente mostrano un crescente interesse nei confronti dell’IA e questo, secondo gli addetti ai lavori, indica un potenziale sviluppo su cui però pesa un pesante fardello: l’assenza di una manodopera specializzata. Infatti, un ostacolo importante è rappresentato dalle competenze digitali, richieste da oltre il 60% delle assunzioni ma - secondo lo studio - difficili da reperire nel 45,6% dei casi.
Il sistema camerale in aiuto
Le imprese, conferma il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, hanno sì capito che l’IA è uno strumento imprescindibile per la competitività, ma quelle che si sono attrezzate sono ancora poche. Il sistema camerale, ha aggiunto, le sta aiutando con attività di informazione e formazione tramite i PID (Punti Impresa Digitale). È stato anche avviato un vasto progetto di Open Innovation mirato a migliorare la gestione del patrimonio informativo tramite l’IA, cui si aggiunge una serie di sperimentazioni che prevedono l’uso di questa tecnologia. È questo il caso della piattaforma Stendhal, che consente di analizzare e verificare il posizionamento competitivo di oltre 200 destinazioni turistiche italiane tramite indicatori che arrivano addirittura al livello comunale.
La crescita tra il 2021 e il 2023
Nel prossimo triennio, quindi, il sistema produttivo nazionale compirà un ulteriore passo sul fronte della digitalizzazione, dopo i consistenti obiettivi raggiunti soprattutto dopo la pandemia. L’analisi del Selfi 4.0 mostra, infatti, che dal 2021 al 2023 è progressivamente scesa la percentuale delle imprese appartenenti alla categoria ‘Apprendista’, ovvero quelle che hanno mosso i primi passi nell’utilizzo delle tecnologie digitali, passando da 41,6% a 37,4%. Al contrario sono aumentati gli appartenenti alle categorie ‘Specialista’ (da 39,1% al 41,6%) ed ‘Esperto’ digitale (da 11,9% al 13,6%) ovvero, rispettivamente, le imprese che possiedono una buona autonomia nell’utilizzo del digitale e quelle che hanno digitalizzato la gran parte delle loro funzioni. Poco significative le variazioni delle categorie ‘Campione’ ed ‘Esordiente’, corrispondenti alle imprese di eccellenza e a quelle che sono ancora legate a una gestione tradizionale dei processi.
La carenza di competenze digitali
Il problema resta la carenza di competenze digitali. Secondo il Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere e Anpal, a quasi 3,5 milioni di figure professionali ricercate nel 2023 dai servizi e dall’industria (63,4% del totale) è stato richiesto il possesso di capacità di utilizzare le tecnologie Internet (64,0% nel 2022). Il dettaglio: 2,8 milioni di profili invece dovevano avere competenze specifiche nell’uso di linguaggi e metodi matematici e informatici (50,6% nel 2023 e 51,9% nel 2022). Oltre 2 milioni di assunzioni, 37,1% del totale (37,5% nel 2022) erano invece destinate a figure professionali in possesso di competenze di gestione di soluzioni innovative attraverso l’applicazione ai processi aziendali di tecnologie digitali robotiche, big analytics, internet of things.
Mancano i profili professionali più qualificati
In particolare, sono 1,8 milioni i profili cui le imprese hanno richiesto, con importanza elevata, il possesso di almeno una delle 3 competenze digitali di cui sopra. La difficoltà di reperimento supera sempre il 45% per tutte e tre le tipologie di competenza digitale richiesta. Nel complesso, sono quasi un terzo (32,1%) i profili professionali per i quali le competenze digitali sono considerate strategiche dalle imprese. In generale, sono le professioni più qualificate quelle per cui si chiedono più competenze e di un livello più avanzato. Dai dirigenti, ai quali la capacità di usare le tecnologie Internet è ricercata per il 96,6% delle entrate programmate, l’uso di linguaggi e metodi matematici per il 94,8% e la gestione di processi innovativi per il 66,6%.