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Mercati: le prospettive da qui a fine anno
La frenata dell’inflazione Usa ha innescato le speranze di una Fed meno aggressiva a breve: ottimismo prematuro perché persistono timori per l’indebitamento di alcuni Paesi e, in vista dell’inverno, per il comparto energetico. Rendimenti attuali poco attraenti in termini di rischio e rendimento.
Dal pressante ciclo rialzista dei tassi che ha caratterizzato i mercati nell’ultimo anno e mezzo arrivano segnali di un effetto sempre più concreto: l’inflazione sta progressivamente rientrando dai picchi, la domanda è diventata meno convulsa e la crescita economica è rallentata a tal punto che c'è la possibilità che si possa andare incontro a una recessione. Un quadro che ha rafforzato nelle ultime settimane i mercati, perché tra gli investitori ha preso piede la convinzione che le Banche centrali non alzeranno più il costo del denaro. Tuttavia, un taglio dei tassi non sembra essere dietro l’angolo perché lo scenario non è ancora immune da diverse criticità. L’imminente stagione invernale ha infatti già riacceso i timori di nuove possibili tensioni nel comparto energetico, con possibili implicazioni inflative, così come il dibattito si sta spostando sempre più sull’elevato indebitamento di alcuni Paesi e sui rischi che questo comporta per i rendimenti obbligazionari.
Il calo dell’inflazione Usa spinge al ribasso i rendimenti
L’attenzione, in questo momento, si concentra sui rendimenti dei Treasury Usa che nelle ultime sedute si sono mossi al ribasso sulla scia di un’inflazione statunitense più debole del previsto. In ottobre il tendenziale è sceso al 3,2%, anche se il tasso core resta sempre al 4%, il doppio del target Fed. Per questo, Mark Dowding, fixed income CIO di RBC BlueBay AM, ritiene che sia troppo prematuro aspettarsi che il FOMC diventi più accomodante. Anche se, aggiunge, le chance che i tassi abbiano raggiunto il picco sembrano essere comunque sempre più probabili. Il calo dei rendimenti dei titoli di Stato, unito al rialzo delle Borse, a spread di credito più stretti e a un dollaro più debole, hanno determinato un ampio allentamento degli indici delle condizioni finanziarie (FCI). Considerato che Powell ha citato questi indicatori nell’ultima riunione, i recenti movimenti rappresenterebbero quindi un ulteriore disincentivo per la Federal Reserve.
Il rapporto rischio-rendimento non è conveniente
Sebbene sia possibile che i dati continuino ad avere un andamento più debole fino a fine anno, Dowding non ritiene che questi rendimenti offrano un ingresso molto interessante in termini di rischio/rendimento, in particolare per quanto riguarda una posizione di duration lunga. Sul fronte europeo viene replicata la stessa situazione, con la Bce che ha smorzato i facili entusiasmi di chi già scommetteva su un taglio dei tassi ravvicinato. La Presidente, Christine Lagarde, sottolineando la necessità di vigilare sui rischi di un’inflazione persistente, ha infatti usato il solito refrain: le decisioni future sui tassi dipenderanno dai dati e, allo stesso tempo, assicureranno che siano su livelli sufficientemente restrittivi per tutto il tempo necessario. Quadro più complesso nel Regno Unito, dove da una parte l’inflazione si è rivelata lievemente più bassa rispetto alle stime, mentre dall’altra parte c’è un tasso core che rimane elevato, al 5,7%.
Il Governo Sunak potrebbe pensare a misure fiscali populiste
Nonostante la Bank of England stia già avendo un atteggiamento più accomodante, Dowding continua a pensare che Oltremanica la crescita dei prezzi finirà per restare vicina ai livelli prevalenti, con rinnovati rischi di stagflazione. In questo contesto, segnala l’esperto, gli ultimi dati salariali d’Oltremanica hanno mostrato pochi segni di rallentamento, con aumenti che sono rimasti vicini all’8%, nonostante un quadro macro più debole. Nel frattempo, un rimpasto di Governo non ha impedito il crollo dei consensi di cui gode e questo potrebbe spingerlo a adottare misure populiste. In questo senso, secondo Dowding, sembra sempre più probabile che verranno adottate misure per ridurre le tasse in occasione della manovra di autunno. Se ciò accadrà, sarà interessante vedere come reagirà il mercato dei Gilt e, avendo assistito nel 2022 a una crisi del mercato obbligazionario, non si esclude un evento simile, se i mercati reagiranno con scetticismo ai piani fiscali del Governo.
L’aumento del debito inconciliabile col taglio delle tasse
Torniamo dunque al problema che accomuna molti Paesi: la mancanza di disciplina fiscale. Negli ultimi 15 anni - col picco raggiunto in molti casi durante la pandemia - parecchi Governi hanno preso l’abitudine di aumentare la spesa e di tagliare le tasse, con l’approvazione degli elettori; ma tutto questo rischia di essere un circolo vizioso. Infatti, se il mercato obbligazionario inizia a esercitare una maggiore disciplina a causa delle preoccupazioni circa la sostenibilità del debito, l’unica cosa che probabilmente potrebbe cambiare il comportamento di questi Governi è il fatto che le loro stesse decisioni creano una reazione del mercato, che spinge i prezzi degli asset verso il basso e, come ulteriore conseguenza, impoverisce gli elettori. Il Giappone, per esempio, è uno dei Paesi in cui i timori fiscali secondo l’esperto non sono lontani dall’emergere, e ci si deve chiedere quanto tempo possa passare prima che il suo rating sia tagliato in territorio BBB.
Posizione strutturalmente corta sui JGB
La situazione del Sol Levante appare infatti critica. Dalla fine del 2022, benché il debito ammontasse già al 263% del PIL, il Governo ha continuato ad allentare la politica fiscale in risposta al rialzo dell’inflazione, erodendo il tenore di vita. Un livello di debito così elevato sembrerebbe difficile da sostenere, se i costi di finanziamento dovessero superare di molto il 2%. Questo è uno dei motivi per cui si pensa che per la BoJ sia opportuno evitare che le pressioni inflative accelerino. Il CPI core è al 4% e si stima rimanga sostenuto. In questo caso, i tassi reali sono negativi. Di riflesso, più la BoJ ritarda a normalizzare la politica, più alto potrebbe essere il picco finale dei rendimenti. Senza contare che, a seguito del calo demografico, nei prossimi anni i pagamenti del debito saranno sostenuti da una base imponibile in calo (oggi in Giappone le imposte sul reddito viaggiano già al 57%). Per questi motivi è suggerita una posizione strutturalmente corta sui JGB.
Bene gli emergenti, le opportunità per Romania e Islanda
Gli asset dei Paesi emergenti attraversano una fase favorevole, grazie all’aumento della propensione al rischio, alla debolezza del dollaro e dei timori sulla Fed. Spicca, in questo scenario, la controtendenza della Romania causata dalla legge sulle pensioni, che ha aumentato il deficit pubblico. In generale, molte cattive notizie sembrano già incorporate negli spread di credito della Romania e che questi bond, denominati in euro, appaiano a buon mercato su una base di valore relativo. Sono da citare anche i movimenti di cui sono stati oggetto gli asset dell’Islanda, col rischio di un’eruzione vulcanica che ha pesato sulla corona (una minaccia per turismo e industria della pesca). Può essere un fattore temporaneo. L’economia islandese è forte e le prospettive sono costruttive per il 2024, pertanto la corona è a buon mercato rispetto al suo fair value e si può cercare di aumentare l’esposizione in caso di ulteriore debolezza rispetto all’euro.