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Usa: Fed pensa ad altri rialzi, implicazioni per la Bce
La resistenza della crescita economica Usa e la persistente inflazione rafforzano le ipotesi che la Fed possa adottare un nuovo rialzo dei tassi entro novembre. Una sfida per la sostenibilità del debito nella periferia europea, inclusa l'Italia. Si prevede un aumento dei rendimenti obbligazionari.
La Federal Reserve resta impegnata a raggiungere una posizione di politica monetaria sufficientemente restrittiva da riportare l'inflazione statunitense al 2% in maniera duratura. È quanto ha detto il Presidente, Jerome Powell, durante il suo intervento al simposio di Jackson Hole lasciando intendere che, all’orizzonte, ci sia almeno un altro rialzo dei tassi d’interesse. D’altronde, lo stesso Presidente della Fed ha sottolineato come negli Stati Uniti l'inflazione sia ancora troppo alta, mentre l'economia non si sta raffreddando come da attese. Ai prossimi incontri, ha comunque rassicurato, la Fed valuterà la totalità dei dati e dei rischi e, su questa base, deciderà con cautela se alzare ancora i tassi o fare una pausa in attesa di ulteriori informazioni.
Previsto un altro rialzo dei tassi Usa entro novembre
I mercati hanno già preso le misure alle parole pronunciate da Powell, nella prospettiva non solo di vedere i tassi d’interesse salire ulteriormente, ma anche che questi potrebbero rimanere elevati più a lungo di quanto inizialmente scontato. La reazione iniziale, ha rilevato Blerina Uruci, chief US economist di T. Rowe Price, è stata quella di un aumento della probabilità di un altro rialzo di 25 punti base entro novembre e, nell’obbligazionario, di un rialzo dei rendimenti lungo tutta la curva. L’esperta, inoltre, non esclude che, man mano che ci avviciniamo al Fomc di novembre, i tassi di mercato possano aumentare ancora, in linea con le conferme che l'economia rimane sulla buona strada per espandersi nel resto dell'anno. Attenzione, quindi, ai prossimi dati.
Attenzione all’inflazione importata con un euro debole
Il fatto che i tassi Usa continuino a puntare al rialzo ha forti ripercussioni per l'Europa e la Bce. In primo luogo, stima Tomasz Wieladek, chief european economist di T. Rowe Price, a differenza degli Usa, ci sono chiari segnali che l'Europa sta scivolando verso la recessione. Uno sviluppo sfavorevole, considerato che la Fed potrebbe alzare ancora i tassi quest'anno e mantenersi falco più a lungo. In ultima istanza, i mercati potrebbero prezzare eventuali tagli della Fed più in là nella curva rispetto a oggi. Ciò, secondo l’economista, indebolirebbe l'euro sul dollaro, con la prospettiva di vedere il cambio a 1,05. Se da una parte un euro più debole darebbe sollievo all'industria manifatturiera europea, dall’altra, con i prezzi delle commodity denominati in dollari, amplificherebbe l’impatto dell’inflazione importata.
L’impatto sulla sostenibilità del debito
Va da sé che, in questo caso, l’inflazione nell’Eurozona sarebbe destinata a rimanere più a lungo sopra l'obiettivo rispetto a quanto previsto finora. La Bce, stima Wieladek, potrebbe quindi essere costretta ad alzare nuovamente i tassi o a mantenere la politica più restrittiva più a lungo - come già confermato dalla seduta di oggi - nonostante i segnali di debolezza della produzione inviati recentemente dagli indici PMI, per tenere a bada qualsiasi ulteriore inflazione derivante da un euro più debole. Ma le implicazioni di mantenere una politica monetaria restrittiva più a lungo non si esauriscono qui. Questa, infatti, si rifletterà anche in un aumento dei rendimenti obbligazionari globali, il che è una sfida significativa per la sostenibilità del debito della periferia europea (Italia compresa).