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Il futuro si trova a Shenzhen
Lo Shenzhen Composite Index ospita in particolar modo l'arrembante complesso dell'It nazionale, al punto da essere conosciuto come la Silicon Valley cinese, ma non mancano comunque alcune realtà industriali tradizionali.
Anche la localizzazione di questo mercato non è un elemento secondario: Shenzhen è oggi una città di oltre 15 miloni di abitanti a ridosso di Hong Kong (è collegata all'ex colonia britannica con una metropolitana) e fino a 30 anni fa era un piccolo villaggio di poche migliaia di abitanti nel Guandong, la prima zona a economia libera del colosso asiatico e tuttora la più ricca. In pratica quasi un simbolo della nuova Cina, molto più di Shanghai che non a caso ha un livello di ricchezza pro capite leggermente inferiore.
Recentemente lo Shenzhen Composite Index ha mostrato performance decisamente negative: -14% dall'inizio dell'anno. Ovviamente il generale panico nei confronti dei titoli growth a inizio 2016 ha contribuito ad abbattere le quotazioni di un listino indubbiamente dalle valutazioni non semplici. Da allora un processo di sovraperformance da parte della new economy del Dragone sembra essere riemerso: infatti dai minimi di febbraio a metà settembre Shenzhen è risalita di oltre il 20% mentre Shanghai ha ripreso solo il 13-14%.
Attualmente il valore dell'indice è 2.001, con un massimo registrato nell'ultimo anno di 2.386 e un massimo assoluto realizzato alla metà del 2015 di 3.100. Soltanto un anno prima il valore era intorno a 1.000. Il P/E che veleggia intorno 40-41 non è certo rassicurante, ma nell'hi-tech, anche dei paesi sviluppati, si è visto ben altro.
In pratica ci si trova di fronte a uno dei listini più volatili del mondo, ma sicuramente uno dei più interessanti in questo momento se si punta a una scelta totalmente growth. In questa fase, inoltre, lo Shenzhen composite sta dimostrando una reattività di fronte a una serie di elementi positivi che sicuramente manca alle borse più titolate della zona.
Il contesto economico generale cinese, infatti, non è attualmente negativo e chi aveva paura di un hard landing è stato brutalmente smentito: il Pil nel secondo trimestre del 2016 è cresciuto del 6,7%, in linea con l'obiettivo del governo per l'anno in corso, ossia un incremento economico fra il 6,5% e il 7%.
Il tredicesimo piano quinquennale elaborato dai vertici del partito, che copre il periodo 2016-2020, è stato improntato alla continuità nelle politiche di miglioramento della qualità produttiva e della vita in generale nel paese. Ovviamente al centro di tutto sta il continuo processo di innovazione tecnologica, sintetizzato negli obiettivi espressi dal progetto “Made in China 2025”, che dovrebbe sostenere la trasformazione in una società di consumi.
Per quanto riguarda quest'ultimo punto va osservato che ad esempio le vendite al dettaglio hanno continuato a crescere di mese in mese nel 2016 a ritmi superiori al 10%, con ottimi punti di forza nell'auto, nell'elettronica di consumo, nella cura della salute, nei beni di largo consumo e nell'abbigliamento, dove marchi cinesi stanno emergendo con prepotenza. In questo contesto il complesso di titoli quotati a Shenzhen è certamente avvantaggiato.
Fra i punti non positivi oggi c'è la debolezza dello yuan, che rischia di tagliare le performance borsistiche per gli stranieri. Inoltre rischiano di avere un impatto negativo un quadro di sovraesposizione a diversi comparti ad altissima leva e bassa o nulla reddività, tassi di interesse reali elevati e in generale un livello di efficienza e di trasparenza non cristalline. Ma la possibilità di ottenere alte performance è sempre collegata a un alto livello di rischio.