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Usa-Europa, sarà passaggio del testimone?
Il dato di agosto potrebbe rappresentare l’inizio di un trend, tuttavia gli Usa continuano a vincere sul Vecchio Continente, se si guardano le performance ‘year to date’ con un +6% a fronte una variazione ancora negativa per l’Europa
Gli esperti hanno cominciato a riporre attenzione sulle opportunità offerte dai listini europei. Con Wall Street in calo rispetto ai suoi massimi storici (anche se ancora su livelli elevati), il mercato azionario del Vecchio Continente ha battuto il suo omologo statunitense negli ultimi mesi. L’indice Standard and Poor’s 500 registra un andamento piatto dal 1° agosto, mentre lo Stoxx600 accumula un progresso dell’1,6%.
I multipli europei presentano valutazioni più convenienti. Il ratio P/e dello Stoxx600 è di 14,8, l’11% in meno rispetto a quello dello S&P 500 che quota 16,7. Il P/e dell’EuroStoxx 50, che ospita i titoli a più elevata capitalizzazione, è di 13,2. Anche questo ratio è inferiore a quello dell’indice Dow Jones (15,6).
Oltre alla convenienza dei ratio, le Borse europee possono contare sul supporto ascrivibile all’azione della Banca centrale Europea:è prevedibile che l’istituto guidato da Mario Draghi estenda il suo Qe oltre la data fissata inizialmente come scadenza naturale (marzo 2017). La Federal Reserve sta invece procedendo in direzione contraria e intende ritirare gli stimoli monetari. Il consensus degli esperti da al 56% un rialzo del costo del denaro a dicembre da parte della Yellen.
Anche l’ultima inchiesta realizzata da Bank of America Merrill Lynch –pubblicata a metà settembre- conferma che i money manager si aspettano nei prossimi mesi un comportamento migliore delle Borse europee rispetto a quelle statunitensi. La percentuale netta di gestori che sovrappeso i listini del Vecchio Continente è salita dall’1% al 5% in un solo mese. Al contrario, è lievitata la percentuale di money manager che propende per una sottoponderazione della Borsa Usa, passata dall’11% al 7%.
In realtà, negli ultimi anni i mercati azionari europei hanno sempre potuto contare sull’appoggio dei gestori. Nello stesso periodo, la Borsa Usa è stata spesso sotto ponderata. Il ritorno d’interesse per il Vecchio Continente sembra essere legato al venir meno dei timori sulle possibili conseguenze negative dell’esito referendario nel Regno Unito. Contrariamente alle attese più pessimiste, la Brexit ha prodotto implicazioni minime sui dati macroeconomici. Un altro fattore favorevole alle Borse continentali è individuato nella moderazione dei timori per le sorti di alcuni istituti di credito italiani (rischi che non sono scomparsi ma che, almeno fino a questo momento, non si sono materializzati).
Tra le variabili che fanno propendere per una sottopenderazione nei portafogli delle azioni a nordamericane troviamo il rischio ‘Trump’: il candidato repubblicano sta rimontando posizioni rispetto alla rivale democratica e ora sarebbe a soli tre punti percentuali dalla Clinton. Secondo gli analisti di Citigroup, la Clinton soffrirebbe di una pericolosa mancanza di entusiasmo che potrebbe sortire effetti a sorpresa sui risultati del voto dell’8 novembre.
Sul versante macroeconomico appare indubbio che la situazione degli Usa sia migliore rispetto a quella europea. Il tasso di disoccupazione è sceso fino al 4,9%, l’inflazione sta mostrando segnali di accelerazione e il trend ascendente dei consumi sembra avviato verso una fase di consolidamento. A differenza dell’Europa, gli Usa possono contare su una crescita solida dei risultati aziendali. Il Vecchio Continente resta bloccato dalla palla al piede costituita dalle difficoltà irrisolte del settore finanziario (penalizzato dal contesto di tassi nulli o negativi).