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Banche, la lezione danese
Nel 2011, l’esecutivo di Copenhagen ha dato vita al primo bail-in alla danese: le perdite accumulate da una piccola banca (Amagerbanken) si sono trasformate in un haircut per possessori di bond e di depositi con più di 100.000 euro
La Danimarca ha svolto solitamente un ruolo guida per l’Europa in materia di regolamentazione del settore finanziario e del mercato del lavoro. Nell’ottobre del 2010, il paese ha approvato una risoluzione che sposta sulle spalle dei creditori la maggior parte delle perdite derivanti da un default bancario, con l’obiettivo di ridurre il carico sopportato dai contribuenti e dall’intera collettività.
Gli azionisti e i creditori meno garantiti sono i primi a dover fare i conti con i tagli causati da un fallimento bancario. L’organismo dedito alla gestione della Stabilità Finanziaria si occupa di valutare le attività e le passività e distribuisce il peso di entrambi gli assets nella maniera che ritiene più opportuna per ridurre i danni ai conti pubblici e al sistema di welfare. La banca centrale danese ha assicurato che tale sistema non è soggetto a modifiche a seconda della dimensione dell’istituto di credito coinvolto nel default. La stessa risoluzione sarebbe applicata anche nell’ipotesi (remota) di fallimento di una delle grandi banche del paese nordico.
L’applicazione di tale normativa in seguito al default di Amagerbanken, ha colto di sorpresa la maggior parte degli investitori. Nonostante l’introduzione della nuova normativa risalisse a circa un anno prima del default, molti continuavano a ignorarne le potenziali conseguenze. Quando obbligazionisti e correntisti hanno cominciato a percepire che le perdite non sarebbero state minime, le turbolenze si sono impadronite dei mercati finanziari del paese.
A metà del 2012, i CDS (Credit Default Swap) di Danske Bank, la più grande banca del paese, avevano quintuplicato il loro valore in seguito allo shock causato dal default della piccola Amagerbanken. A farla da padrone furono allora i dubbi sull’efficacia e l’implementazione del processo di bail-in, i timori per il coinvolgimento di altri istituti danesi. L’accesso alla liquidità diventò più caro, le quotazioni di Borsa crollarono e i Cds s’impennarono.
Secondo la Banca Centrale di Danimarca, il bail-in è stato la soluzione più sana che si potesse dare al problema. I salvataggi hanno dimostrato di rappresentare solo un rinvio del problema a data futura, mentre il bail-in, pur essendo doloroso nel breve termine, ha risolto realmente il problema e dato una lezione morale a banchieri e creditori.
Da quando è stata implementata la politica basata sul non-salvataggio delle banche, il settore finanziario danese si è trasformato in uno dei più forti d’Europa. Danske Bank, le cui azioni si sono rivalutate dall’inizio dell’anno, in una fase in cui il settore ha perso in media il 20% sui principali listini azionari.
All’interno dell’eurozona, il primo caso d’intervento alla danese si è visto con la banca austriaca Heta Asset Resolution, la bad bank dell’entità Hypo Alpe Adria, che si è chiusa con perdite per gli azionisti e per gli obbligazionisti (fino al 54% per questi ultimi). Heta Asset Resolution è una piccola entità (non è considerata ‘sistemica’) e il suo buco di 8.000 mln di euro è stato assorbito da azionisti e creditori. Questo esempio offre un’idea di come saranno risolti i casi di default in futuro. Nel rispetto della nuova direttiva approvata in sede comunitaria, le autorità austriache hanno imposto perdite ai sottoscrittori di bond subordinati pari a circa un miliardo di euro. In un’altra occasione, anche questa senza precedenti, il governo centrale non ha offerto appoggio ai bond senior garantiti dallo Stato della Carinzia.