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Mercati in attesa del presidente
La settimana che volge alla sua conclusione oggi è stata una delle più strane della storia recente dei mercati finanziari. Infatti alla ribalta è tornato prepotentemente il rischio politico, con la riapertura del caso delle email trasmesse da Hillary Clinton, ai tempi in cui era segretario di stato, attraverso un server privato: alcune di queste sono ricomparse sul computer del marito, invischiato in una brutta storiaccia a sfondo sessuale, di Huma Abedin, una delle più fidate collaboratrici della Clinton.
Allo stato attuale è difficile calcolare quanto impatto abbia avuto questa rivelazione sulla corsa alla presidenza: certo è che a pochi giorni dal voto i due contendenti si trovano a pochissima distanza l'uno dall'altro. Si tratta di uno sviluppo quasi da film, se pensiamo che fino a una decina di giorni fa la gara sembrava ormai praticamente chiusa a favore del candidato democratico.
Il risultato è stato una serie di sessioni in ribasso: in particolare l'S&P 500 alla fine di giovedì 3 novembre aveva messo a segno l'ottavo calo di fila. Si tratta di un evento che non succedeva dai primi di ottobre del 2008, ossia il periodo più disastroso nella storia dei mercati finanziari del dopoguerra. Inoltre dal 1928 una simile sequenza è accaduta solo 28 volte.
Da queste vicende possiamo trarre alcune considerazioni: come si può vedere l'azionario statunitense è entrato nel post-crisi finanziaria in un processo di crescita e di crollo della volatilità che non ha eguali. Infatti era quasi un decennio che non si vedeva un simile movimento negativo, ma ciò nonostante la perdita complessiva del'S&P 500, intorno al 3%, è stata minima. In simili circostanze nel 2008 si era arrivati a lasciare sul terreno il 23%. Tuttora il principale indice statunitense si trova a circa il 6% dai massimi storici, raggiunti solo l'estate scorsa. Questo calo non si avvicina neppure al territorio della correzione.
Nel frattempo gli utili delle aziende dell'indice made in Usa, con il 58% che hanno già riportato, fra attese e dati effettivi segnalano secondo FactSet un irrobustimento della crescita annuale, situata attualmente a+1,6%.
Come spesso accade in queste circostanze il Vix sta seguendo una rapida traiettoria di rialzo ed è arrivato giovedì sopra quota 22, il massimo dai tempi della Brexit, crescendo in una sola sessione di oltre il 14%. Il tempo dirà se questo aumento rappresenta l'ennesimo caso di eccesso di panico rispetto a quella che poi sarà la volatilità realizzata o se siamo di fronte a un'inversione di tendenza. Il fatto che Wti e Brent siano di nuovo scesi sotto quota 45, e a fronte di un forte contango generalmente associato a ulteriori cali futuri, non lascia benissimo sperare.
Inoltre i dati sull'occupazione negli Stati Uniti, arrivati nel pomeriggio di venerdì non sono stati esaltanti: c'è stata la creazione di 161 mila nuovi posti di lavoro, contro un'aspettativa di 173 mila; il tasso di disoccupazione è passato dal 5% al 4,9%. Sicuramente si tratta di numeri che, pur non essendo in fondo troppo negativi, non aiutano la ripresa dei mercati.
Oltre alla rinnovata correlazione fra petrolio e asset rischiosi in occidente, va segnalata una ripresa delle vecchie abitudini del mercato azionario cinese nella Madrepatria: andare per conto proprio. Nell'ultimo mese lo Shanghai composite, peraltro un indice ricco di aziende di stato associate ai segmenti più in crisi del Dragone, si trova ai massimi da gennaio.
Per quanto riguarda la settimana prossima, ovviamente tutti gli occhi sono concentrati sull'elezione americana dell'8 novembre, su cui è impossibile fare previsioni. A essa si accompagna comunque qualche dato economico interessante, fra cui le vendite al dettaglio di settembre nell'Eurozona lunedì e le esportazioni tedesche, sempre di settembre, martedì.