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Argento e oro tornano asset rifugio
Dopo un triennio di oblio seguito alla fine di un trend rialzista durato molti anni, i metalli preziosi hanno saputo ritagliarsi nuovamente un ruolo da protagonisti all’interno dei portafogli degli investitori.
La ragione di quest’inversione del trend va cercata nei tanti motivi di incertezza che hanno segnato l’anno in corso e alimentato il ritorno dell’avversione al rischio.
All’inizio del mese l’argento aveva accumulato una rivalutazione del 27,6% nei primi dieci mesi del 2016. Nonostante ciò, il suo deprezzamento di medio termine rispetto ai massimi toccati nel settembre del 2014 continua a essere prossimo al 15%. La variazione al ribasso si traduce in una performance negativa pari al doppio rispetto a quella registrata dall’oncia d’oro, il cui ultimo massimo risale al luglio del 2014.
Nel periodo preso in considerazione, il metallo giallo perde più del 7,1% e la sua performance year to date si porta poco sotto il 20%. Il dato si traduce nella rottura di un trend negativo durato tre anni e nel conseguimento del risultato migliore tra quelli archiviati a partire dal 2010.
L’elevata volatilità che li accompagna è uno dei fattori che caratterizza da sempre l’investimento in veicoli che permettono di seguire da vicino l’andamento delle quotazioni dei metalli preziosi. Per rendersi conto dei sobbalzi che bisogna mettere in conto quando si decide di destinare una quota del proprio portafoglio a questi asset, basta dare un’occhiata ai rispettivi livelli di volatilità riscontrati nel corso del 2016: 15% per l’oncia d’oro e oltre il 25% per l’argento.
Il dato relativo alla volatilità ha molto a che vedere con la liquidità. L’oro è visto dalla maggior parte degli investitori come una divisa rifugio (e pertanto gode di maggiori volumi di negoziazione). L’argento è più sensibile alle variazioni di prezzo perché gli scambi sono accompagnati da un livello di liquidità molto più bassa. L’argento tende inoltre ad accusare i colpi derivanti da variazioni intervenute nella sua produzione e nell’arrivo di periodi di scarsità dell’offerta rispetto a impennate della domanda (e viceversa).
Un altro fattore che spiega la maggiore volatilità dell’argento risiede nei possibili utilizzi finali del metallo, decisamente più numerosi rispetto all’oro. L’utilizzo dell’argento spazia dalla lavorazione destinata alla creazione di gioielli all’industria elettronica, farmaceutica e degli armamenti. Questa è la ragione che supporta la definizione dell’argento come metallo pseudo industriale. Queste caratteristiche lo rendono un asset ibrido, a metà strada tra la classica funzione di bene rifugio assolta dai metalli preziosi nelle fasi di profonda incertezza e un asset speculativo a causa dei forti scompensi che possono verificarsi nel rapporto tra domanda e offerta.
Durante il 2016, le quotazioni dei due metalli hanno tratto vantaggio anche dalla graduale espansione di un sentiment avverso al rischio tra gli investitori, che sono tornati a considerare oro e argento un asset rifugio dopo tre anni di quasi totale abbandono di questo tipo di investimento. Durante la prima parte del 2016, le preoccupazioni sono state trasmesse dalla Cina a causa dei timori per una possibile decelerazione brusca dell’economia domestica e una conseguente propagazione di tale decelerazione all’intera economia planetaria. Successivamente, la vittoria del si al referendum sulla Brexit tenutosi lo scorso 23 giugno, ha provocato nuove tensioni sui principali listini internazionali (successivamente riassorbite).
Accanto a questi due elementi guida del sentiment negativo, trovano posto i dubbi sulla solvibilità del sistema bancario europeo (con focus su alcuni istituti bancari italiani e sul colosso tedesco Deutsche Bank). Per altro verso non va dimenticata la caduta del prezzo del petrolio (che ha registrato un minimo inferiore ai 30 usd), fermata solo da un accordo tra la Russia e l’Opec che prevede l’introduzione di tagli alla produzione per supportare le quotazioni.
Una volta rientrate queste fonti di incertezza, l’ultimo fattore ancora in grado di provocare accelerazioni dell’avversione al rischio e offrire un valido supporto ai rimbalzi delle quotazioni degli asset ‘rifugio’ è la sfida per le presidenziali Usa tra Donald Trump e Hillary Clinton. Una vittoria di Trump sarebbe sinonimo di ulteriore incertezza sui mercati considerando che la sua esperienza politica, capacità e obiettivi rimangono poco chiari. Molti operatori credono che l’avversione al rischio permetterà all’oro di sovraperformare.
Nel periodo che ci divide dal post 8 dicembre alla fine dell’anno, a tenere banco sarà invece la Federal Reserve e le attese per un ritocco al rialzo del costo del denaro negli Stati Uniti. La Yellen potrebbe dare l’avvio alla tanto attesa normalizzazione dei tassi Usa dopo un decennio permeato dall’adozione di una serie di provvedimenti monetari espansivi. Stando a un’inchiesta realizzata da Bloomberg tra gestori ed analisti, la probabilità che la Fed opti per un rialzo del costo del denaro è al 73%.
Infine, un quadro generale della situazione non deve tralasciare anche le variabili che possono incidere negativamente sull’attuale trend rialzista: la riduzione dei costi di produzione dell’oro verificatasi negli ultimi trimestri, principalmente a causa del deprezzamento delle divise di Sudafrica, America del Sud, Europa dell’Est e Australia, ha supportato una crescita delle quote produttive e innescato spinte ribassiste sulle quotazioni dell’oncia.