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Le ragioni della caduta dello yuan
Il ritorno d’interesse per gli asset denominati in usd –in scia ad aspettative di rivalutazione della divisa Usa- e il rallentamento della Cina, sono alla base della recente svalutazione del renminbi
Per questa ragione risulta interessante analizzare cosa sta succedendo alla seconda economia mondiale e alla sua valuta. La stabilità del tasso di cambio dello yuan rispetto al dollaro Usa si è prolungata per circa cinque anni ma ora, in presenza di un rallentamento dell’economia cinese e un’accelerazione di quella nordamericana, il renminbi sta rompendo barriere sorprendenti sul mercato delle divise. Il movimento ha una sua logica.
Il Pil della Cina è cresciuto a tassi vicini o superiori al 10% dal 1991 al 2012. Adesso questo ritmo ha subito un sensibile rallentamento, la produzione aumenta al ritmo del 7% annuo e alcuni esperti si spingono a ipotizzare un futuro turbolento per il gigante asiatico. Nel frattempo, a fine novembre lo yuan registrava una profonda svalutazione: nel 2014 per acquistare un dollaro occorrevano 6,061 yuan; adesso sono necessari 6,9 yuan per portare a termine la stessa operazione, un livello lontano dai limiti fissati a suo tempo dalla Banca Popolare della Cina.
Pechino opta, tendenzialmente, per un tasso di cambio fisso rispetto all’usd, una scelta condivisa anche da molti paesi emergenti e alcuni paesi industrializzati. In questo caso, la banca centrale del paese interessato deve essere preparata ad acquistare o vendere la moneta domestica versus le divise estere a un determinato prezzo (tasso di cambio).
In altre parole, l’essenza del tasso di cambio fisso è il compromesso assunto dalla banca centrale di mantenere il livello dell’offerta monetaria per assicurare l’equilibrio del tasso di cambio, di modo che l’offerta di moneta si adegui automaticamente al livello adeguato.
La Banca Popolare cinese sta lottando contro la vendita massiccia di yuan, che esercita una pressione al ribasso sulla quotazione della divisa. Questo movimento non è solo il prodotto dell’azione degli investitori stranieri che stanno liquidando le proprie posizioni in Cina per trasformare l’effettivo realizzato in assets denominati in altre valute, ma è frutto anche di movimenti di capitali interni al paese.
Dopo anni di crescita economica, le famiglie e le imprese cinesi vogliono diversificare i propri assets (che sono aumentati considerevolmente) fuori dai confini domestici. Questo trend è alimentato dalla voglia di ridurre i rischi di bolle presenti in alcuni asset domestici (l’immobiliare in primis).
Per altro verso, la strategia del governo per aumentare l’importanza del renminbi a livello internazionale implica uno sforzo teso a favorire gli investimenti all’estero (fatto che facilita, involontariamente, i deflussi di capitale). Un numero crescente di esperti crede che l’aumento delle aspettative su possibili svalutazioni dello yuan stia pressando al ribasso la divisa. Il tutto coincide con un periodo di forza dell’usd.
Per evitare una crisi valutaria, Pechino potrebbe optare, nonostante l’enorme quantità di riserve in divisa accumulata, per un incremento dei controlli di capitali per ridurre le aspettative di deprezzamento del renminbi.