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Wall Street, l'economia conta
Torniamo ad affrontare un argomento toccato qualche settimana fa: le sovra-performance del mercato azionario americano nell'ultimo decennio. In questo periodo Wall Street ha stracciato sia gli emergenti, che nel primo decennio di questo secolo hanno vissuto una bolla spaventosa, sia l'Europa. Però l'argomento è interessante anche da un altro punto di vista, ossia tentare di capire se l'andamento di questo mercato abbia una qualche logica legata all'economia reale.
La domanda, proprio nel periodo attuale che vede i listini ai massimi storici, è legittima, in quanto gli Usa vengono dal periodo con la minore crescita economica dell'ultimo secolo, Grande depressione a parte: è infatti dal 2005 che il paese non riesce a mostrare un aumento del Pil superiore al 3%. Nell'anno appena terminato addirittura, con un +1,6%, gli States sono riusciti a fare peggio dell'Eurozona.
Per capire ciò che è successo è necessario tornare indietro nel tempo, specificatamente a fine 1999, quando infuriavano gli ultimi mesi della prima ascesa di internet, e ipotizziamo di avere investito sull'S&P 500 in tale data: a fine 2016 ci saremmo trovati con un capital gain cumulato di oltre il 52%, pari a un Cagr del 2,5% annuo circa. Con i dividendi reinvestiti e, per investitori europei non coperti da rischio valutario, un modesto effetto dollaro, complessivamente il rendimento annuo totale sarebbe stato intorno al 5%.
Se prendiamo invece lo Stoxx 600, vediamo che le quotazioni attuali sono praticamente le stesse di ormai quasi due decenni fa. In 17 anni un investitore sull'azionario europeo avrebbe raccolto solamente i dividendi, visto che dopo anni di forza anche l'effetto valutario ha cominciato a essere negativo. A contribuire a questa pessima performance non è stato solo il Sud Europa: gli indici di piazze come Parigi e Amsterdam mostrano quotazioni inferiori a quelle di fine anni '90.
Ora torniamo indietro al termine del 2007, alle soglie dell'anno del disastro sui mercati: a quella data le quotazioni dello Stoxx 600 erano ancora una volta nella stessa area attuale e di fine 1999. In pratica questo benchmark ha messo a segno una sorta di triplo massimo secolare, evento abbastanza raro sui mercati.
Allora anche l'S&P 500 era tornato vicinissimo alla chiusura del decennio precedente. In pratica in otto anni l'equity sviluppato fece uno spettacolare girotondo dopo il crollo delle dot.com. In tale fase, fra dollaro debolissimo e minore dividend yield, Wall Street risultò largamente la piazza più deludente fra le grandi aree, con l'Europa nel mezzo e gli emergenti a farla da padroni.
Nell'ultimo decennio, però, le cose sono cambiate: contemporaneamente allo sviluppo di un alpha positivo, in Usa è andata crescendo la correlazione fra questo fenomeno e una sempre maggiore debolezza, franco svizzero a parte, delle divise europee, anche se queste ultime hanno visto diverse fasi di bear market rally.
A questo punto diventa interessante vedere il rapporto con l'economia: il sunto è che sostanzialmente gli Usa, nel periodo di peggiore stagnazione della loro storia recente, hanno comunque visto migliorare i propri termini relativi anche per quanto riguarda l'economia reale.
Prendiamo l'andamento del Pil negli anni 2000 prima della grande crisi finanziaria: dalla fine del '99 al termine del 2007, il Pil statunitense è salito in media del 2,6% all'anno in termini reali. Nei nove anni tra la fine del '99 e la chiusura del 2008, la recessione si fece sentire prima negli Usa rispetto all'Europa e l'aumento annuale medio passò al 2,3%. Se togliamo l'eccellente 2000, in cui fu superiore al 4%, nel periodo 2001-2008, corrispondente alla presidenza Bush, si scende a circa +2,1% medio per annata. Negli anni di Obama (inizio 2009, fine 2016) si precipita all'1,3%.
Ora guardiamo al dato equivalente europeo, prendendo l'Eurozona come proxy del continente: a partire dal 2001 fino alla fine del 2008, la crescita dell'Eurozona è stata praticamente identica a quella statunitense, con quindi un migliore andamento pro capite, visto il minore aumento della popolazione. In particolar modo nel triennio 2005-2007 diverse economie sviluppate europee, in primis la Germania, mostravano incrementi del Pil superiori al 3%.
Le cose hanno cominciato a prendere una piega diversa all'esplodere della crisi e ancora più dopo il 2011. Nel 2009 l'Eurozona mostrò una contrazione pari a -4,5%, a fronte di un'America in calo del 2,8%. Lo scarto ha cominciato però a essere disastroso a partire dal 2012. Nel quinquennio terminato lo scorso dicembre, complessivamente l'Eurozona è salita di un piuttosto miserevole 0,7% annuo, mentre in Usa il dato equivalente è risultato +2,1%, lo stesso valore dell'era Bush.
Dunque da una semplice analisi di qualche dato possiamo ricavare la conclusione che il mercato azionario è collegato all'economia reale, magari con un certo lag temporale e con un elevato beta, amplificando così i movimenti strutturali del paese.
Ma vale certamente la pena approfondire ulteriormente il discorso, soprattutto se il mercato americano continuerà a essere sui massimi assoluti.