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Emergenti, una rivalutazione che è nei fondamentali
Abbiamo visto che nell'Msci emerging markets i settori principali sono i servizi finanziari e l'It, con quest'ultimo che copre quasi un quarto della capitalizzazione complessiva, una percentuale superiore all'equivalente americano nell'S&P 500.
Se andiamo a osservare i primi 10 titoli per capitalizzazione negli emerging market a fine gennaio, troviamo in ordine decrescente: Samsung Electronics, Tencent, Taiwan Semiconductors, Alibaba, China Mobile, Naspers, China Construction Bank, Baidu, Icbc, Hon Hai Precision, per un totale di circa il 22% dell'indice complessivo. Come si può vedere, sono presenti quattro colossi di internet, se contiamo Naspers, due banche, due assemblatori di elettronica di consumo, un colosso integrato (Samsung) più una telecom. Il tutto solamente in tre paesi: Cina, Corea e Taiwan.
Alla stessa data l'S&P 500 presentava questa top 10, anch'essa in ordine decrescente: Apple, Alphabet, Microsoft, Exxon Mobil, Amazon, Berkshire Hathaway, Johnson&Johnson, Facebook, Jp Morgan Chase, General Electric e Wells Fargo.
Come si può vedere, ci sono ovvie similitudini e altrettanto ovvie divergenze: la prima che salta all'occhio è la capitalizzazione dei due indici, ossia il flottante: poco più di 4 trilioni di dollari per l'Msci Em, oltre 20 per l'S&P 500. Questo scarto ovviamente risponde a un differenziale di sviluppo e di attitudine alla quotazione dei due mondi, con però un caveat: il flottante delle azioni cinesi e di altre asiatiche in generale rappresenta una parte più contenuta del totale della capitalizzazione rispetto agli Usa. In particolar modo per le azioni H e gli Adr cinesi, che rappresentano una quota non enorme del totale del valore di molte aziende, soprattutto di stato.
Con l'apertura dei mercati cinesi, la crescita della ricchezza e l'allargamento della base degli investitori, nonché con il percorso ormai delineato di inclusione delle azioni A nell'indice Msci Em, con ogni probabilità Cina e satelliti andranno a costituire una parte sempre più rilevante dell'universo emergente, fino a cambiarne i connotati. Infatti a prendere sempre più peso saranno i settori della nuova economia legata ai consumi domestici cinesi.
Insieme a questo fenomeno potrebbe arrivare anche un notevole rerating, quanto meno a livello relativo. Infatti proviamo a fare qualche confronto. Ovviamente non si può direttamente paragonare i colossi dei due indici in maniera perfetta, ma un'idea ce la si può fare. Pertanto riteniamo che la società più vicina a Tencent e Naspers sia Facebook, e i tre P/E sono più o meno identici, mentre per Baidu l'equivalente è Alphabet. In quest'ultimo caso il colosso americano ha un P/E forward che è circa due volte rispetto a quello del gruppo cinese, la cui capitalizzazione a fine gennaio era di 47,6 miliardi. Essa dunque potrebbe raddoppiare.
Vediamo poi che Apple presentava un P/E che è del 10% superiore a Samsung e a quest'ultima si potrebbe aggiungere dunque 17 miliardi dollari in termini di free float. Arriviamo poi ad Alibaba che paragoniamo con Amazon. Quest'ultima presenta un P/E altissimo, superiore a 170, mentre Alibaba veleggia intorno a 45: in questo caso vi è un livello del 270% in più da parte della società americana, con un free float di 113 miliardi a fine gennaio da parte dei cinesi. Incidentalmente va detto che se avvenisse un incremento di multipli simile, Alibaba diventerebbe largamente la prima azienda del mondo per valore borsistico complessivo.
Passiamo poi a China Mobile, che scambia con un P/E di circa 14 a fronte di un valore intorno a 20 per At&T, peraltro un'azienda che oscilla anch'essa intorno alla top 10 del proprio benchmark di riferimento per capitalizzazione. Aggiungiamo dunque un 40% al valore di China Mobile (70 miliardi a fine gennaio), che si incrementerebbe così di altri 28.
Infine vediamo le due banche cinesi: entrambe scambiano con un P/E intorno a 6, mentre sia Jp Morgan Chase, sia Wells Fargo presentano un valore equivalente intorno a 14. Aggiungiamo dunque, coerentemente con l'ipotesi di un rerating, il 133% (80 e 60 miliardi) al free float totale dei due istituti cinesi.
Se tutto il resto del mercato non si muovesse, e neppure le valute oscillassero ma i titoli della top esaminati scambiassero ai multipli delle loro proxy statunitensi più vicine, al valore totale dell'Msci emerging markets si aggiungerebbero 48+17+300+28+60+80= 533 miliardi di dollari.
Contando che a fine gennaio il valore del flottante dell'Msci Em era poco più di 4,2 trilioni di dollari, ciò vorrebbe dire vedere una crescita delle quotazioni di oltre il 12%. Il tutto grazie a una manciata di titoli e, per l'appunto, tenendo fermo il resto del mercato.
Il nostro esperimento, peraltro spannometrico, permette di capire che se per i listini del Far east ci fosse la stessa propensione all'investimento azionario mostrata in America, le potenzialità sarebbero enormi. Man mano che l'economia cinese risalisse la graduatoria del valore aggiunto, anche senza considerare rivalutazioni così estreme, si potrebbe ipotizzare che gli investitori siano disposti a pagare sempre di più, in quanto è proprio nel Far East il luogo dove si trovano i temi con le maggiori potenzialità growth.
Pertanto la risposta alla domanda se l'Asia è ancora il futuro è “probabilmente sì”, almeno per quanto riguarda l'universo emergente, che nei prossimi anni andrà ad assomigliare sempre più a una proxy della Cina e dei suoi satelliti.