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La lotta psicologica tra mattone e azioni
La maggior parte degli investitori continua ad avere un atteggiamento troppo accondiscendente rispetto all’investimento in immobili e troppo sfiduciato rispetto a quello in asset finanziari
In molti paesi è abituale pensare che ci sia un numero più elevato (nettamente più elevato) di cittadini che siano riusciti a centrare un incremento significativo del proprio patrimonio con l’investimento in immobili piuttosto che con la destinazione dei propri risparmi ad assets finanziari. Questa percezione è frutto del diverso approccio che tendiamo a utilizzare per l’investimento nel mattone rispetto a quello seguito per muoversi nell’oceano degli strumenti finanziari.
In particolare, ci sono quattro ragioni che fanno ipotizzare ai più che si guadagni meglio con gli immobili. La prima è che siamo mentalmente predisposti a destinare alle case grandi quantità di denaro. La maggior parte delle persone tende a sostenere che sia del tutto ragionevole investire il 200% del proprio patrimonio nel mattone, magari nell’acquisto di un unico immobile. Alcune inchieste realizzate su campioni significativi di investitori, hanno confermato che la maggior parte del campione preso in esame ha definito un investimento ‘tranquillo’ (o ‘poco rischioso’) l’acquisto di un immobile a un prezzo di 200.000 euro con il ricorso a 100.000 euro di risparmi propri e 100.000 euro di mutuo a lunga scadenza. Lo stesso campione ha sostenuto che destinare il 50% del proprio patrimonio ai listini azionari (diversificando su tutti i listini planetari) rappresenti un’opzione d’investimento estremamente rischiosa.
La seconda è che le persone tendono ad investire in immobili con un orizzonte temporale molto lungo. Investiamo nel mattone con l’idea di mantenere la proprietà dell’immobile per decenni o anche per generazioni. Al contrario, la maggioranza degli investitori tende a considerare ‘lungo termine’ un periodo superiore ai dodici mesi nel campo degli investimenti finanziari. Per non parlare del calcolo del rendimento che, nel caso di azioni e obbligazioni, viene solitamente azzerato di anno in anno a causa dell’impazienza con cui approcciamo questo tipo d’investimento.
La terza è che gli investitori tendono a dedicare più tempo alla pianificazione dell’investimento immobiliare. Siamo soliti destinare una parte significativa del nostro reddito al pagamento della rata di un mutuo. Nella malaugurata ipotesi in cui le nostre spese subiscano un’improvvisa impennata, tendiamo a stringere la cinghia per poter continuare a onorare le rate. Questo comportamento non viene invece seguito nel caso un piano di accumulo avviato su un fondo comune d’investimento o un Exchange traded fund. Nell’ipotesi di un Pac, la maggior parte dei risparmiatori tende a dedicare scarso tempo e impegno alla sua pianificazione e a sospendere immediatamente i versamenti al primo scoglio che si presenta sulla sua strada.
Infine, prima compriamo l’immobile e poi lo paghiamo. Per gli asset finanziari vale il ragionamento opposto: prima risparmiamo e poi investiamo. La differenza in termini di risultato è molto marcata perché la performance viene generata da due importi distanti anni luce.
Un capitale di 100.000 euro che riesce a beneficiare di un rendimento del 6% annuo si trasforma, nell’arco di trenta anni, in 574.000 euro circa. Se invece di investire l’intero capitale in un colpo solo, provassimo a investirlo in quote mensili di circa 278 euro, in trenta anni disporremo (fatta salva l’ipotesi di un rendimento annuo del 6%) di 270.000 euro. Nel secondo caso il patrimonio generato è meno della metà di quello ottenuto nella prima ipotesi. I numeri non mentono.