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Affrontare la volatilità del mercato cinese

06/07/2017

All’inizio del 2016, in molti evidenziavano prospettive negative per la Cina e il suo mercato azionario. In quella fase, il Paese stava soffrendo per lo scoppio della bolla del mercato cinese A-share, per la valuta in calo e per la massiccia fuga di capitali.

Da quel momento, molti investitori sono rimasti sorpresi dalla resilienza dell’economia cinese e dei suoi mercati azionari. Il Pil della Cina è cresciuto a un interessante tasso annuo del 6,9% nel primo trimestre di quest’anno e gli indici MSCI China e CSI 300 sono aumentati del 29% e del 6% rispettivamente negli ultimi 12 mesi. Inoltre, il mercato si è scrollato di dosso le paure del protezionismo di Trump, una risposta corretta, alla luce del fatto che le azioni di Trump sul commercio si sono rivelate meno dirompenti rispetto a quanto era stato annunciato.

Manuel Pozzi, Investment director di M&G Investments, ritiene che più che i dati di crescita del Pil, è importante guardare i fondamentali delle singole aziende, l’affidabilità del management e le valutazioni.

Inoltre, tenuto conto che gli investitori locali tendono ad avere un approccio più da trader che da investitori di lungo termine, questo accentua fasi di volatilità estreme a cui bisogna prestare attenzione, come nel 2007 e nel 2015. L’azionario cinese è dunque un mercato che Pozzi definisce più adatto allo “stock-picking” che alla selezione di specifici temi d’investimento.

Sempre guardando alle valutazioni, il team di M&G  preferisce investire in aziende private con un management di valore e una buona governance, piuttosto che nelle cosiddette state-owned enterprises (SOE).

Oggi le azioni cinesi si possono raggruppare in due categorie: le aziende della “nuova Cina”, ossia legate a sviluppi più recenti come la tecnologia o la farmaceutica, che però oggi sono molto care, e i titoli legati alla “vecchia Cina”, come  le utility e gli industriali. Questi ultimi offrono in alcuni casi valutazioni molto interessanti, anche considerando aziende di buona qualità.  Un esempio, sottolinea il gestore, è Lesso, società manifatturiera che produce materiale per costruzioni in plastica e PVC, che quota 8 volte gli utili è ha un track record invidiabile in termini di fatturato, utili per azione. In area asiatica, il team considera interessanti anche le Borse di Corea del Sud e Taiwan.

Le decisioni di asset allocation di Ross Teverson, head of Strategy Emerging Markets di Jupiter Asset Management, sono guidate in primo luogo dallo studio di tipo bottom-up sui fondamentali delle società. Il portafoglio del fondo, sostiene il manager, è il risultato delle nostre idee d’investimento più forti selezionate sui mercati emergenti e di frontiera. Il money manager tiene in considerazione solamente l’allocazione per Paese e per settore nella misura in cui tendiamo ad avere un portafoglio diversificato in termini di aree geografiche e fattori macro e di rischio.

Nell’ambito dei mercati emergenti, Jupiter opta per un’esposizione maggiore alle società mid e small cap, molte delle quali hanno bilanci molto soldi che sono, dal nostro punto di vista, superiori alle prospettive di crescita. Teverson crede inoltre che il fondo benefici dell’esposizione ai mercati di frontiera, che tendono a mostrare dei trend demografici migliori e che sono spesso debolmente correlati ai più grandi mercati emergenti. Inoltre, i mercati di frontiera offrono un numero maggiore di opportunità interessanti, meno popolari e nascoste.

A cura di: Rocki Gialanella

Parole chiave:

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