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Ragioni a supporto di un dollaro debole
Donald Trump non riesce a dare una netta accelerazione alle politiche da lui annunciate nel corso della campagna elettorale e la Federal Reserve si muove con i piedi di piombo. Il biglietto verde ne fa le spese
L’euro si è ulteriormente rafforzato in scia alle speculazioni alimentate dalle interpretazioni delle parole pronunciate dal presidente della Bce, Mario Draghi, in merito alla possibilità che si stai avvicinando il momento in cui l’istituto abbandonerà con gradualità il quantitative easing. La divisa unica è balzata fino al livello più alto registrato da maggio 2016, dopo aver accumulato una rivalutazione di circa il 10% dall’inizio dell’anno. A questi livelli, i dubbi su quanto possa durare il rally dell’euro cominciano a farsi largo nelle analisi degli esperti.
Viviamo tempi in cui le banche centrali delle principali aree del pianeta stanno giocando da tempo una delicata partita a scacchi, ricorrendo a tutti gli strumenti a loro disposizione per supportare le rispettive economie a dieci anni dallo scoppio della più intensa crisi economico-finanziaria internazionale verificatasi a partire dalla Grande Depressione. Si tratta dell’applicazione di politiche monetarie non convenzionali in cui la Bce svolge un ruolo determinante.
Nella fase di euforia che ha fatto seguito alla vittoria del candidato repubblicano, il biglietto verde scambiò a circa 1,03 contro euro; attualmente siamo saliti oltre quota 1,15. Lo scenario, dunque, è stato in gran parte smentito, per ragioni alla fin fine comprensibili e speculari a quelle che avevano portato al rally precedente. Ossia che il boom americano non c'è stato: l'economia con ogni probabilità continuerà a fare quello che ha fatto negli ultimi anni (crescere intorno al 2%) tanto che anche la Federal Reserve sta andando vistosamente con i piedi di piombo nel normalizzare la politica monetaria. Il ventaglio di riforme annunciato, dalla semplificazione di una serie di legislazioni per le aziende al taglio delle tasse non sembra che sia nell'orizzonte immediato. Dall'altra parte, invece, l'Europa e l'Asia stanno vivendo una buona fase, con dati economici migliori delle attese e in aumento da diversi mesi.
Dal canto suo, Draghi non si è limitato ad affermare con decisione che la deflazione è alle spalle e la crescita dell’eurozona è solida, ma si è spinto oltre, ipotizzando un vero cambio della politica monetaria. La reazione del mercato è stata semplicemente ‘ipersensibile’. Tuttavia, nonostante il trend del momento indichi una direzione chiara, non mancano le divisioni tra gli analisti delle case d’investimento. Tra quelli che ipotizzano un ulteriore rafforzamento dell’euro, vi è la convinzione che il mercato stia chiaramente puntando a un nulla di fatto nel corso della riunione di settembre della Fed e, parallelamente, a un annuncio di ritiro graduale degli stimoli monetari da parte di Mario Draghi.
Da un punto di vista prettamente tecnico, la divisa unica sembra ben impostata per riuscire a raggiungere quota 1.20 contro usd, ma molto dipenderà dalla conferma del recupero dell’inflazione in autunno. Questo perché un’ipotetica ’inversione del recupero della variazione dei prezzi al consumo potrebbe convincere la Bce a rinviare qualsiasi decisione in merito a un rientro delle misure non convenzionali applicate negli ultimi anni.
L’altra variabile da monitorare è la volatilità delle quotazioni dei titoli di stato dell’eurozona e delle Borse. Alcuni money manager credono che se lo scenario di risk off continuerà a dominare le scene nei prossimi giorni, il dollaro comincerà a guadagnare appeal come bene rifugio e il nuovo sentiment frenerà la rivalutazione della divisa unica.
Infine, un terzo gruppo di gestori sostiene che la fase di forza dell’usd sta per tramontare a causa del reale miglioramento della crescita economica nell’eurozona e all’allentamento dei rischi di natura politica.