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Shinzo Abe e l'effetto Kim Jong Un
Anche il regime nord-coreano può avere aspetti positivi. Ovviamente questa affermazione è faceta, con però un risvolto serio: stiamo infatti parlando della vittoria alle elezioni giapponesi di Shinzo Abe. Del nazionalismo che caratterizza il suo approccio politico (peraltro molto blando per gli standard asiatici) si può pensare quello che si vuole, però il premier giapponese nei cinque anni che ha retto il paese ha fornito agli investitori sui mercati finanziari ciò che più amano: stabilità e un programma pro-crescita a tutti i livelli, monetario, fiscale e legislativo. Le elezioni di domenica fanno pensare che questo scenario non sia destinato a cambiare, data la super-maggioranza parlamentare di due terzi che Shinzo Abe ha ottenuto, che gli consente di operare diverse revisioni costituzionali.
Il risultato era tutt'altro che scontato: il calo di popolarità recente nel paese aveva fatto sembrare un discreto azzardo avere convocato elezioni anticipate. Invece neppure l'ascesa, invero resistibile (visti i pessimi risultati di domenica), del Partito della speranza di Yuriko Koike e alcuni scandali che hanno toccato esponenti di quel Partito liberal democratico che continua a dominare la vita politica nipponica hanno indotto i cittadini del Sol Levante a cambiare le loro preferenze elettorali.
Sulla scelta di continuità hanno pesato sicuramente diversi fattori locali e globali. Da una parte la crisi dei partiti di centro-sinistra in tutte le economie ad alto reddito, dall'altra il non elevatissimo grado di politicizzazione della società giapponese, largamente inferiore, ad esempio, rispetto alla Corea del sud, favorisce l'inerzia. L'economia, inoltre, nei limiti di quello che è il Giappone moderno, è comunque in una situazione più che decente.
E infine, ovviamente, c’è la minaccia del regime di Pyongyang che ha ricompattato i giapponesi intorno a un leader comunque meno esangue rispetto ai primi ministri nipponici del passato. In qualche maniera, inoltre, l'ascesa del nazionalismo più furibondo in tutta l'area del Nord-est dell'Asia ha spinto la popolazione a superare i tabù del passato e a votare senza problemi per chi promette una normalizzazione dell'assetto militare nazionale
E tutto ciò va bene ai mercati: il Nikkei ha reagito salendo di oltre l'1%. Inoltre ora che il bear market del dollaro sembra essersi calmato, è più che possibile che lo yen torni a scendere: vi è in effetti già da settimane sul forex un accumulo di posizioni ribassiste sulla divisa del Sol Levante, fatto che favorirebbe gli utili delle aziende locali. Abe con tutta probabilità continuerà con le proprie riforme in senso liberista, che oggettivamente stanno portando a un miglioramento dei parametri di efficienza delle aziende quotate locali, il cui Roe medio si sta avvicinando al 10%, una soglia inferiore solamente di un paio di punti percentuali alla media europea. Nel frattempo Kim Jong Un ha praticamente fatto la campagna elettorale ad Abe con le sue minacce da cattivo da manga, aprendo la strada politica a un'ulteriore stagione di riforme in Giappone.
In realtà rischi troppo estremi, quali appunto una guerra termo-nucleare-globale con la Corea del nord, vengono alla fin fine ignorati dai mercati, in quanto difficilmente prezzabili, date le conseguenze che comportano. In realtà in un coacervo di effetti di secondo e terzo ordine altamente non lineari, alla fine anche una la Corea del nord, almeno nell'immediato, può paradossalmente spingere al rialzo i mercati. Resta da vedere, però, quali potrebbero essere gli effetti negativi di lungo termine per tale area del mondo