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Il ritorno dell’avversione al rischio
Secondo un recente sondaggio di Bank of America Merrill Lynch, è il 45% degli investitori istituzionali a temere principalmente l’inflazione e una correzione dei mercati azionari (a gennaio era il 36%).
Le vicende dell’inizio di questo mese hanno aggravato la percezione di questo rischio con gli investitori costretti a cambiare le proprie previsioni sull’andamento dei mercati non solo per l’inflazione ma anche per l’andamento della volatilità. Secondo lo stesso sondaggio, la liquidità, da sempre indicatore per eccellenza del livello della propensione al rischio sui mercati, è in aumento, confermando un trend di rotazione di portafoglio in corso: in media ’esposizione in equity si è ridotta del 12% a favore di quella in cash.
Il 38% degli intervistati ha dichiarato di voler aumentare la liquidità in portafoglio (a gennaio il 26% voleva invece ridurla), che raggiunge al momento quota 4,7% dei portafogli dei grandi gestori, al di sopra della media storica dell’ultimo decennio.
A confermare l’avversione al rischio arriva anche l’aumento dell’esposizione nei settori di sanità e delle telecomunicazioni; solo un mese fa le classi d’investimento preferite secondo il sondaggio erano tecnologia, industriale e mercati emergenti. Questo perché gli intervistati si attendono anche un rallentamento nell’economia mondiale: se a gennaio il 37% del campione si attendeva un’accelerazione, in questo mese la quota è scesa a 10%. Nonostante il nuovo contesto, più del 90% degli intervistati non considera comunque probabile l’arrivo di una nuova recessione.
I listini azionari hanno chiuso la settimana scorsa in generale recupero, malgrado i rendimenti obbligazionari in Usa abbiano raggiunto nuovi massimi. In Europa premiati principalmente i comparti industriali e minerari.
Le forti oscillazioni del Volatility Index del Cboe della settimana in cui si sono concentrati i cali sono finite comunque al centro di un’indagine. L’accusa è che i player abbiano mosso l’indice senza compiere effettivamente delle operazioni di trading. Se ciò fosse confermato minerebbe la credibilità del Cboe Global Market, il più grande mercato al mondo per lo scambio di opzioni.
La dinamica che registreranno i mercati nelle prossime settimane sarà cruciale per capire se si instaurerà sui mercati una nuova tendenza, o se le tendenze di fondo rimarranno immutate, con i mercati azionari che potranno archiviare il 2018 come il nono anno di bull market. Ne corso di questa settimana la prima verifica sulle tendenze inflattive giungerà dai dati sull’inflazione, attesi oggì in Giappone e in area Euro. La prospettiva di una crescita dei prezzi più rapida delle attese, con un eventuale irrigidimento della politica monetaria in tempi più brevi del previsto, potrebbe avere ulteriori effetti sui mercati. Interessante anche la pubblicazione dei verbali delle ultime riunioni delle banche centrali in Usa e in area Euro (attesi per oggi e giovedì rispettivamente).
Alcuni indicatori anticipatori in particolare PMI, ZEW, IFO in Germania e PMI nell’area Euro potranno poi chiarire se l’eventuale accelerazione dei prezzi sarà accompagnata da una crescita economica a livello mondiale ancora vivace o se invece il ciclo economico è giunto ad un punto di svolta. Se così fosse i timori collegati all’inflazione potrebbero essere estremamente ridimensionati e la crescita dei prezzi più contenuta di quanto temuto, con conseguenti ripercussioni sulle scelte degli investitori.