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Il rischio Cambridge Analytica sui mercati
Generalmente gli scandali aziendali, specialmente quelli a sfondo politico, non sono particolarmente interessanti dal punto di vista delle decisioni finanziarie, in quanto tendono a essere tutto sommato dimenticati in fretta, se la società coinvolta offre beni e servizi competitivi. A ciò si aggiunge il fatto che di solito l'effetto contagio è o inesistente o alquanto limitato. Nel caso della vicenda Cambridge Analytica, però, forse è il caso di fare un'eccezione. Cominciamo con un incipit: a metà marzo, con oltre il 4% di total return, le azioni statunitensi costituivano in assoluto la seconda migliore asset class in cui andare a investire nel 2018 dietro solo (e di poco) all'equity emergente, anche contando gli effetti valutari. L'azionario giapponese ed europeo, pure incorporando la crescita delle divise locali, era sostanzialmente invariato; diverse commodity, in compenso, si trovano in calo in questo 2018, mentre, non sorprendentemente, dal reddito fisso finora in questo primo trimestre non si è cavato un ragno dal buco.
Il risultato conferma ancora una volta la peculiare struttura di volatilità e correlazioni degli ultimi decenni: anche quando una crisi parte dagli Usa, gli altri mercati la soffrono in maniera uguale o più intensa, con però una maggiore lentezza nel riprendersi. La continua sovraperformance americana, contestata solo dagli emergenti più ruggenti, peraltro adesso in ripresa dopo anni pessimi, nasconde però alcune debolezze decisamente preoccupanti. Per capire ciò di cui stiamo parlando andiamo a osservare le performance, in meri termini di prezzo, da fine 2017 a ieri degli 11 settori che compongono l'S&P 500, cominciando dai peggiori: in questo gruppo troviamo le telecom (-7,9%) i beni di lago consumo (- 7,8%), l'energia (-7,4%), l'immobiliare (intorno a -6%) e le utility (-5,7%) e i materiali di base (-3,7%).
In una fascia intermedia invece si posizionano gli industriali (quasi +0,6%), la cura della salute (+1,9%) e i servizi finanziari (+2,8%). In assoluto i due settori migliori sono risultati quello dei consumi discrezionali, la cui performance sfiorava +6% e l'It, in rialzo di oltre il 7,8%. Questi dati delineano un mercato che è sostanzialmente monotematico, nonostante una ripresa apparentemente vasta e diffusa, che si regge letteralmente su quello che è de facto un unico paradigma growth, vista la natura squisitamente consumer di molti colossi della tecnologia.
E di fronte a una tale armoniosa crescita fa impressione vedere in calo tutto ciò che è legato a commodity e materiali di base, con gli industriali messi non tanto meglio, nonostante i piani infrastrutturali dell'amministrazione Trump. Il calo del real estate nel breve periodo può essere spiegato con la sua forte correlazione con l'andamento dei tassi, dall'altra parte però non si vede chissà quale grande ascesa dei servizi finanziari che invece da un minimo di inflazione “benigna” in più e da rendimenti reali del denaro più elevati avrebbero dovuto trarre grandi vantaggi.
In pratica, però, se qualcosa comincia ad andare storto in ambito tecnologico i dolori rischiano di essere pesantissimi per tutti e la reazione alla vicenda che ha coinvolto Facebook qualche inquietudine la mette. Il clima infatti per certi versi sta cominciando a diventare ostile per i colossi della rete, sia a livello politico (soprattutto per la questione delle tasse), sia presso ampie fasce della popolazione. Il problema è in verità non certo nuovo, però si sa che le questioni annose, ignorate quando tutto va bene, possono costituire un'ottima occasione per vendere quando la propensione al rischio viene meno.