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L’India continua a crescere più della Cina
Nell’ultimo trimestre del 2017 il Pil del paese è cresciuto del 7,2% per anno. Di conseguenza si è lasciata alle spalle il netto rallentamento della crescita in seguito alla riforma valutaria e fiscale ed è cresciuta più delle attese degli analisti.
L’entusiasmo è però solo limitato, perché in realtà l’India ha bisogno di una crescita ancora molto più sostenuta per ridurre la povertà e la disoccupazione. La precedente recessione economica è stata inoltre di origine fondamentalmente interna: troppi crediti in sofferenza, una sostituzione del contante improvvisa, in gran parte assurda e insufficientemente preparata, nonché una vasta riforma fiscale non troppo ben pianificata. Rimangono poco chiare le fonti della ripresa economica. Secondo i dati ufficiali sono aumentati nettamente gli investimenti, ma ciò è in contrasto con le richieste di approvazione degli investimenti presentate che di recente sono scese al minimo degli ultimi 13 anni.
Non ci sono invece dubbi sul fatto che la spesa pubblica abbia avuto un ruolo fondamentale. Il che allo stesso tempo solleva la questione di quanto a lungo potrà ancora sgorgare questa fonte di crescita prima che il disavanzo di bilancio diventi troppo alto. Per gli Stati dell’Unione e il governo centrale insieme è già pari al 7% circa della performance economica. Nel frattempo, il settore finanziario viene scosso dal più grande scandalo bancario nella storia dell’India. Ironicamente, il presunto mandante della maxi truffa pochi giorni prima della scoperta dell’imbroglio posava ancora insieme al premier Modi in occasione del Forum economico di Davos Non solo sono stati presumibilmente sottratti quasi 2 miliardi di dollari alla Punjab National Bank, la seconda banca statale del paese. I dati resi noti finora mostrano enormi deficit nella gestione del rischio e nei sistemi di controllo interni.
Questi punti deboli erano però noti da tempo anche alle autorità finanziarie. In generale, le banche statali indiane da anni sono affette da montagne di crediti sofferenti e una parte piuttosto consistente di questi è da attribuire ad attività fraudolente, spesso con l’aiuto attivo di politici e funzionari corrotti. Per il governo indiano ciò è tanto più spiacevole perché, ancora una volta, sta mobilizzando un’enorme quantità di denaro dei contribuenti oltre a capitale privato per consolidare maggiormente le banche statali sotto il profilo finanziario.
Secondo il “Times of India“ negli ultimi undici anni sono stati spesi circa 40 miliardi di dollari dei contribuenti per farlo, mentre quasi trecento milioni di indiani (circa il 20% della popolazione) continuano a vivere in condizioni di estrema povertà.
Anche la banca centrale deve rispondere a domande scomode a questo proposito. Per le autorità monetarie c’è almeno stata una notizia positiva, perché la pressione inflazionistica di recente è leggermente diminuita.
Il mercato azionario indiano ha tenuto abbastanza bene tutto ciò considerato; il BSE-Sensex ha ceduto il 5% circa a febbraio, più o meno quanto l’indice complessivo dei paesi emergenti. I principali indici azionari dei Paesi in via di sviluppo, nel corso degli ultimi anni, hanno realizzato delle performance sostanzialmente positive. L’indice Morgan Stanley Emerging Market in dollari negli ultimi due anni ha ottenuto un risultato di circa l’80% comprensivo dei dividendi, beneficiando del contesto economico in costante miglioramento. A fronte di tali risultati, nel 2018, la selettività degli investimenti rivestirà una rilevanza fondamentale.