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Euro contro yuan, quasi un percorso obbligato
Come si può puntare su una possibile ripresa del trend secolare ribassista della moneta unica? Prima di affrontare questo argomento, tornato recentemente alla ribalta, va prima spiegato perché avrebbe senso montare una posizione di questo genere. Anche se non si crede allo scenario di un possibile nuovo round di crisi finanziaria e recessione nel 2019-2020 e anzi si ritiene che la ripresa economica europea proseguirà in maniera solida e stabile, confermando così la correlazione positiva dell'ultimo anno fra i discreti rendimenti azionari e la ripresa delle quotazioni valutarie, vale sempre la pena prendere una posizione opposta, anche se modesta come hedging.
Difficilmente, infatti, in un periodo di rinnovata crisi l'Europa si troverebbe in condizioni migliori rispetto alla media globale. Di conseguenza ha una logica puntare su una ripresa del dollaro Usa, accompagnata però da altre tre posizioni. Accanto al fatto di comprare il biglietto verde si potrebbe costruire uno short globale sull'euro puntando su un rafforzamento anche dello yuan cinese, dello yen giapponese e del won coreano.
Perché le tre valute principali dell'Asia avanzata? Essenzialmente per il fatto che, per quanto riguarda quella cinese e quella coreana, sono notevolmente sottovalutate. Il tasso di crescita di queste nazioni, per quanto comunque in fase di calo strutturale, rimane molto elevato con conseguente inflazione un po’ più alta e politiche monetarie strutturalmente un po’ più rigide. Se vogliamo, queste nazioni stanno cominciando ad avere bisogno di politiche monetarie simili a quelle di Australia e Nuova Zelanda, o del Regno Unito prima della crisi finanziaria del 2008.
Specialmente se consideriamo appunto che queste nazioni hanno seguito una politica mercantilistica piuttosto dura, che oggi non ha più ragione di esistere. In questo caso vale la pena distinguere fra Cina e Corea del Sud, che vantano uno scarto di circa 15-20 anni in termini di sviluppo economico (il Pil pro capite nominale cinese è tuttora circa un terzo di quello coreano, che è praticamente identico al livello italiano).
La Cina sta puntando enormemente sul mercato interno e questo è un fatto notorio, ma ciò che è un po' meno risaputo è che in questa equazione ormai da anni è diventato imperativo rafforzare non indebolire la propria divisa. Sul Dragone spesso si ragiona con un paradigma export-oriented ormai anacronistico da un decennio. In realtà proprio nei confronti dell'euro è da 15 anni che vi è un trend di lungo periodo ben approssimato da un modello lineare al ribasso, con massimi progressivamente sempre più modesti. Le attuali quotazioni intorno a 7,70 per yuan risultato superiori di poco più del 14% rispetto ai minimi storici registrati nell'aprile del 2015.
Neppure la grande paura e la grande fuga di capitali del 2015-2016 in Cina hanno generato chissà quali sconquassi: l'ascesa della divisa del Vecchio continente dai minimi cui accennavamo in precedenza (intorno a 6,70) fino ai massimi poco sopra 7,9 nel luglio del 2017 è stata del 18% circa. Si tratta di un valore in linea con i bull market ciclici di questo cambio nel recente passato. Si può inoltre notare che i mesi del super-euro contro il dollaro abbiano visto una ripresa ancora più robusta dello yuan.
Il trend dei numeri cinesi attuali sembra con ogni probabilità destinato ad aumentare, anche perché si tratta di una tendenza ben favorita dalle istituzioni: attualmente circa un quarto del commercio estero cinese avviene in renminbi, ed è chiaro che non si può aspirare ad aumentare questa quota e a detronizzare il dollaro con una politica tesa alle svalutazioni sistematiche.
Detto ciò, la situazione della Corea è parzialmente diversa, anche se presenta aspetti similari, mentre quella del Giappone è quasi opposta. La prossima volta vedremo come e perché infilare queste due divise nel nostro ventaglio di scelte.