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Un futuro ancora roseo per il petrolio
L’ultimo World Energy Outlook della International Energy Agency prevede un’espansione del 30% nel fabbisogno energetico globale tra il 2016 e il 2040, dato che la ripresa della domanda proveniente dai Mercati Emergenti dovrebbe di gran lunga compensare il calo atteso nelle economie avanzate.
Per ora il divario di consumo tra le energie rinnovabili e il petrolio resta ancora ampio e, nonostante il graduale calo della quota di consumi ascrivibile al greggio, la carenza sul versante dell’offerta potrà essere soddisfatta solo parzialmente dalla produzione di energie rinnovabili. Il petrolio potrebbe continuare a dettare legge ancora per molto.
L’ascesa dei prezzi del petrolio sembra preoccupare meno rispetto agli anni ’70. La produzione non è più concentrata nelle mani di pochi e gli effetti dei prezzi al rialzo potrebbe incidere più sull’inflazione che sulla crescita
Il prezzo del petrolio accumula un rialzo del 27% dai minimi registrati nel corso dell’anno. Il barile di tipo brent, quello di riferimento per il mercato europeo, oscilla intorno agli 80 usd, un livello che comincia ad alimentare timori per la crescita dell’economia. A queste quotazioni, i danni per i consumatori cominciano a superare i benefici per i produttori ed implicano un effetto negativo netto sull’economia mondiale, in particolare per i paesi che sono importatori netti.
Nonostante ciò, gli analisti ritengono che gli effetti negativi dovrebbero essere minori rispetto al passato. La correlazione diretta tra impennate del greggio e fasi recessive dovrebbe essere meno accentuata rispetto a quanto visto negli anni ’70 (questo perché la produzione è meno concentrata nelle mani di pochi e l’economia necessita quantità minori di petrolio per produrre beni e servizi). Stati Uniti, Russia e Cina producono il 30% del petrolio e il peso del loro Pil (a parità di potere d’acquisto) sfiora il 37% di quello globale. La diversificazione nell’uso delle fonti di energia ha ridotto la relazione tra i prezzi del petrolio e la crescita economica. Attualmente l’economia mondiale necessita il 7% in meno di petrolio per produrre la stessa quantità di beni e servizi prodotta nel 2007.
In passato, quando la maggior parte della produzione arrivava dal medio oriente, ogni accelerazione dei prezzi aveva come beneficiari pochi paesi (che coprivano appena il 5% del Pil mondiale) e danneggiava la maggior parte dei paesi che contribuivano alla creazione della ricchezza planetaria. Attualmente i rialzi dei prezzi favoriscono molti settori di grandi economie e questo serva a compensare parte dell’effetto negativo che il trend sviluppa sui consumatori.
Le tensioni geopolitiche in primis, seguite da una domanda sempre più robusta, dalla continuità e intensificazione della politica dei tagli dell’Opec, dalla debacle della produzione in Venezuela e dalle sanzioni Usa all’Iran. L’AIE (Agenzia Internazionale per l’Energia) ha chiesto un intervento dei paesi produttori per evitare uno shock sul versante dell’offerta.
Il team di UBS ha recentemente stimato che un prezzo del barile a 100 usd comporterebbe un calo di venti punti base nel tasso di crescita dell’eurozona (dal 2% all’1,8%) e un IPC al 2,4% (superiore al target inflation fissato dalla Bce al 2%) che spingerebbe le autorità monetaria dell’eurozona ad avviare il processo di normalizzazione della politica monetaria. A livello globale il rallentamento della crescita si fermerebbe a 16 punti base e l’inflazione media salirebbe al 4% dal 3,1% stimato. Nei paesi industrializzati il tasso d’inflazione medio si porterebbe al 3% rispetto al 2-2,5% atteso.