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La recessione è già cominciata, anche se noi non lo sappiamo
Un argomento su cui forse è prematuro concentrarsi, in quanto sicuramente non è all'ordine del giorno, ma è comunque interessante, visti i non entusiasmanti chiari di luna in diverse realtà, è la forma che potrebbe prendere una nuova recessione. Di recente l'argomento è stato affrontato nel Secular outlook di Pimco, una delle maggiori società di gestione al mondo. Questo gruppo ha condotto una ricerca fra molti economisti di istituzioni sell-side, intendendo con questa espressione essenzialmente banche commerciali, banche di investimento e società di intermediazione. Il risultato che è uscito è per certi versi poco rassicurante. Innanzitutto va detto che le previsioni di recessione riguardavano gli Stati Uniti, ma stimare l'eventualità di una contrazione economica Usa comunque è più o meno equivalente a prevedere una crisi mondiale, vista la centralità e l'importanza del sistema economico degli States.
Comunque il primo elemento è che più o meno tutti si aspettano una nuova recessione entro tre-cinque anni, il che francamente non è di grande aiuto: vista la durata abnorme dell'attuale espansione e dato il rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve, prevedere che fra il 2021 e il 2023 gli Stati Uniti affronteranno un calo del Pil è più o meno come affermare che il prossimo gennaio farà freddo.
Ma a rivelarsi interessanti sono le risposte su come ciò potrebbe avvenire. Il consensus generale è che la prossima fase di crisi sarà molto diversa dal 2008: non si avrà un catastrofico crollo finanziario che innesca una profonda, ma tutto sommato di breve durata, discesa del Pil, bensì un malessere prolungato ancorché privo di momenti di panico.
Per certi versi i prodromi di questo fenomeno li stiamo vedendo già oggi quando i segmenti più fragili del sistema globale, dai soliti emergenti più in difficoltà della periferia europea alla new entry costituita dal Far East esposto alle ritorsioni americane, stanno perdendo colpi a livello azionario, obbligazionario e valutario con movimenti che però appaiono al rallentatore rispetto a quanto successo in passato.
Per quanto riguarda gli emergenti ovviamente il paragone con il 1997-1998 neppure inizia; così pure per l'Italia quello con il 2011-2012. Però anche il 2013, con il suo taper tantrum, aveva portato grattacapi ben maggiori per nazioni come la Turchia, l'India e l'Indonesia.
Un barometro interessante del fenomeno è dato dall'andamento del dollaro oltre che del Bund e dei Treasury. Il biglietto verde si è ripreso da un inizio di anno che sembrava avere avviato un nuovo bear market ciclico, al tempo stesso però i suoi rialzi appaiono tutto sommato contenuti. Così pure siamo lontani dagli eccessi visti di recente con il rendimento del Bund decennale in territorio saldamente negativo. Quest'ultimo viaggia, attualmente, intorno a 35-40 punti base di rendimento: si tratta di un valore più o meno in linea con la media degli ultimi tre anni. Al tempo stesso per quanto riguarda lo spread del nostro Btp equivalente, il consensus sembra prevedere per i prossimi mesi oscillazioni nell'ampia fascia compresa fra 200 e 300. Se ci spostiamo poi alla curva dei Treasury, essa appare sicuramente poco ripida e siamo ancora ben lungi da scenari di inversione.
Al tempo stesso, però, i rischi sembrano più orientati verso nuovi ribassi: sono mesi che, tecnologia a parte, non si evidenziano più nuovi massimi e, anche se la volatilità è molto bassa, vedere otto sessioni di fila di chiusure negative del Dow Jones fa una certa impressione.
In definitiva, forse, siamo già nelle prime fasi di una recessione globale che si rivelerà lunghissima e relativamente dolce, una malattia cronica che non impedirà al paziente di fare una vita normale, limitandone però le opportunità. Inutile dire che investire in uno scenario del genere sarebbe molto più difficile che in quello di crash: Giappone delle due lost decade docet.