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Euro e dollaro, sempre più prevedibili
In un precedente articolo abbiamo visto che il cambio euro-dollaro nell'ultimo biennio ha evidenziato, all'interno di un database di cinque anni a partire dalla fine del settembre 2013, oscillazioni sempre minori, con una diminuzione sostanziale della volatilità già evidente nel 2017 e proseguita nel 2018.
Andiamo nello specifico a vedere qualche dettaglio in più: se prendiamo, ad esempio, il sottoinsieme costituito dall'1% dei più forti rialzi giornalieri del dollaro all'interno dei cinque anni (casi in cui il cross Eur-Usd ha dunque visto significativi ribassi giornalieri), vediamo che su 14 casi solo uno si è verificato nel 2018, nonostante il periodo fra il primo gennaio del 2018 e il 30 settembre copra circa il 15% del nostro database. Idem se andiamo a prendere l'1% delle situazioni in cui invece è stata la moneta unica a mostrare maggiore forza: questa volta in un piccolo campione di 14 osservazioni addirittura non c’è alcun dato ascrivibile al 2018 e solo uno al 2017. Ciò, nonostante periodi di notevole forza da parte dell'euro nell'ultimo anno e mezzo.
Se poi ci si concentra su qualche semplice dato statistico, si vede che nel corso dei cinque anni il rendimento medio giornaliero è stato pari a -0,011% circa, cioè tanto in media ha perso ogni giorno l'euro rispetto al biglietto verde, con però una mediana ancora più vicina allo zero (-0,007% circa).
In pratica, nel quinquennio il livello delle quotazioni è passato da circa 1,35 a 1,165, ma tale movimento è stato effettuato in maniera piuttosto peculiare. Rispetto a quella che sarebbe infatti una distribuzione normale, nei due decili intorno alla media&mediana, vi è stata una quantità enorme di dati, con una lieve prevalenza delle giornate positive per l'euro. Se però ci spostiamo negli outlier, intendendo in questo caso sessioni con variazioni superiori allo 0,5%, all'1%, all'1,5% e al 2%, si vede che c’è stata una netta prevalenza di segni meno, in cui dunque il dollaro si è rafforzato.
Curiosamente il picco di questa serie storica, però, si è avuto a inizio dicembre 2015 con un rialzo dell'euro di oltre il 3,2%. Tale anomalia ha portato il nostro database a una skewness lievemente positiva, accompagnata da una robusta curtosi, superiore a 5,5, coerente con la struttura spiegata finora.
Se però prendiamo in esame il sottoinsieme rappresentato dai nove mesi di quest'anno si può notare che la curtosi è notevolmente diminuita, scendendo intorno a 3,69 (quindi molto più vicina a una conformazione gaussiana), e la skewness, in assenza di giorni di inusuale forza dell'euro e coerentemente con il flebile trend di rafforzamento del dollaro, è scesa a -0,24.
È interessante poi costruire una serie storica delle stime della volatilità dal nostro set di rendimenti. Utilizzando un semplice modello Garch (1,1) in cui viene inserito come livello di volatilità di lungo periodo la standard deviation a un anno, si vede che le stime giornaliere di questa grandezza sono progressivamente calate insieme al dato di lungo periodo, così come è scesa la loro oscillazione giornaliera. In pratica una volatilità in costante diminuzione che è stata stimata in maniera sempre più accurata proprio perché è andata scemando.
Come abbiamo accennato la volta scorsa, è improbabile che questo paradigma duri ancora a lungo per una semplice ragione: raramente i cambi, seppure caratterizzati da trend lunghi e abbastanza stabili, rimangono così immobili, in quanto alla fine rappresentano il luogo ultimo dove vanno a sfogarsi tutte le tensioni sui mercati. La prossima volta vedremo come questi dati siano coerenti con lo scenario sui mercati degli ultimi mesi e come una deviazione dal fragile equilibrio attuale, in una direzione o in un'altra, sia destinata a muovere di nuovo le acque nel cambio Eur-Usd.