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Cina, il 2017 non tornerà più
Il 2018 sotto diversi punti di vista verrà ricordato come l'anno della Cina, purtroppo però in senso negativo. Al momento attuale, infatti, se diamo un'occhiata all'andamento delle azioni A di Shanghai e Shenzhen, appare un panorama di macerie: nonostante una ripresa di oltre il 4% nella giornata di lunedì 22 ottobre, il saldo del rendimento dall'inizio dell'anno è negativo per circa il 20%, senza contare la svalutazione dello yuan. Se poi si osserva la performance del mercato di Shenzhen, spesso associato alle parti più moderne e vitali dell'azionario domestico, l'andamento è risultato ancora più disastroso: -30% circa. Entrambi i principali benchmark del paese, lo Shanghai e lo Shenzhen composite, hanno toccato quest'anno i minimi degli ultimi quattro anni, andando a posizionarsi sotto la già rovinosa caduta dei primi mesi del 2016.
Se andiamo a vedere altri segmenti dell'azionario cinese, in particolar modo quelli su cui sono maggiormente esposti gli investitori esteri, troviamo senz'altro un panorama meno disastroso, ma comunque non dei più entusiasmanti. L’Hang Seng China Enterprises Index, che contiene le azioni cinesi quotate a Hong Kong, è in calo del 10%; in questo caso, essendo i titoli quotati in dollari di Hong Kong, moneta legata con una fascia di oscillazione molto stretta al dollaro Usa, non vanno aggiunte perdite generate sul forex.
Se infine si analizzano Tencent e Alibaba (rispettivamente in ribasso di circa -16,5% e -17,5% da fine 2017), i due ruggenti colossi internet che nel 2017 avevano regalato soddisfazioni superlative agli investitori, si vede che nel 2018 il loro comportamento è stato molto più simile a quello dell'equity del loro paese di origine rispetto a quello dei colossi dell'It statunitensi.
Così, nonostante diversi gestori parlino della Cina come di un terreno pieno di occasioni per chi ha capacità di stock picking, fatto probabilmente indubitabile, resta una grande difficoltà da parte degli investitori, sia domestici, sia internazionali, a differenziare le varie offerte. In pratica il paese sembra vivere costantemente in un alternarsi di risk on e risk off senza troppe mezze misure, passando dall'euforia alle previsioni di catastrofe.
Inoltre le varie riforme per aprire i mercati dei capitali locali, quali ad esempio il varo dei connect con differenti borse in giro per l'Asia e l'inclusione nell’Msci Em, non sembrano sortire grandi effetti. Paradossalmente, se proprio vogliamo andare a scavare a fondo nella questione (con una regressione logistica per chi fosse interessato ai dettagli) appare evidente che l'avvio di una qualche importante riforma di liberalizzazione finanziaria da parte della Cina tende a essere seguita da cali piuttosto marcati.
In realtà non è che vi sia un rapporto di causalità fra i due fenomeni: la spiegazione più ovvia è che spesso le riforme vengono portate avanti proprio quando il governo non può farne a meno, vista la situazione di instabilità, che quest'anno è stata generata dal progressivo deteriorarsi della situazione geopolitica con gli Usa, una variabile probabilmente non adeguatamente considerata da nessuno.
L'anno scorso era stato evidenziato che il Nord Est dell'Asia fosse una delle zone più promettenti in cui investire, posizione da molti cancellata lo scorso giugno alla luce dell'incancrenirsi della volatilità sui mercati e a causa della guerra commerciale. È ora di tornare sui propri passi e riposizionarsi sugli asset rischiosi di quella che comunque appare come una delle economie più potenti e moderne del mondo? Vedremo in altri articoli alcuni dei pro e dei contro. Anticipiamo che la risposta può essere un sì, con però moltissimi caveat. Il quadro, infatti, è irrimediabilmente mutato rispetto all'anno scorso.