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Cosa succede alle Borse?
Gli operatori di mercato stanno cominciando a credere che la Federal Reserve si stia muovendo con troppa decisione e lanciano segnali di preoccupazione per la tenuta delle quotazioni azionarie e obbligazionarie. Cresce il timore per una recessione.
Sembra che i mercati finanziari si siano completamente assuefatti al supporto offerto negli ultimi anni dalle misure di politica monetaria non convenzionali introdotte dalle banche centrali. Il contesto di riferimento è talmente dipendente da queste misure che i listini tendono a reagire in malo modo a ogni provvedimento che va nella direzione opposta. La retromarcia dei titoli di debito (obbligazioni) e dei titoli di rischio (azioni) è già ampiamente partita negli Stati Uniti e, in un arco di tempo che non appare più molto lungo, potrebbe coinvolgere anche le obbligazioni europee.
Le azioni del Vecchio Continente hanno invece già anticipato il nuovo trend e si sono accodate al cambio di rotta che ha interessato Wall Street. Dopo l’ultimo ritocco al rialzo di un quarto di punto annunciato da Jerome Powell (governatore della banca centrale statunitense) e la revisione al ribasso delle stime su crescita e inflazione Usa, gli investitori hanno reagito con nervosismo e i listini azionari di mezzo mondo hanno registrato forti contrazioni.
In altre parole, comincia a essere evidente la richiesta, per ora implicita, dei mercati azionari di frenare il ritmo e il numero degli incrementi del costo del denaro statunitense. Le parole pronunciate da Powell nel corso della press conference hanno innescato una vendita massiccia di azioni. Secondo gli analisti, l’ondata di vendite è imputabile all’annuncio di altri ritocchi al rialzo del costo del denaro nel corso del 2019 e non alla revisione al ribasso delle aspettative sull’andamento della crescita del Pil e dell’inflazione. Arrivati a questi livelli dei rendimenti del Treasury decennale, pare proprio che la view e le scelte degli investitori siano nettamente influenzate dal numero (l’intensità sembra essere oramai da tempo ferma allo 0,25%) degli incrementi dei tassi che separano gli Usa dal raggiungimento del livello neutrale e dalla fine del processo di normalizzazione della politica monetaria.
Le anomalie cominciano a vedersi anche nel segmento obbligazionario. Dinanzi al rialzo di ieri, il movimento naturale della curva dei rendimenti Usa avrebbe dovuto sfociare in un ampliamento del differenziale tra tassi a breve termine e tassi a medio lungo termine. Tuttavia, la fuga dalle azioni e la ricerca di sicurezza, hanno alimentato con forza la domanda di Treasury decennali. Il risultato è stato una sostanziale stabiltà dei rendimenti del decennale a dispetto dell’annuncio di ulteriore incremento del costo del denaro dello 0,25%.
Il rendimento del Treasury dcennale, spinto dai timori per l’andamento di Wall Street, è tornato sotto quota 3% da qualche settimana e ieri si è assestato al 2,77%. Al contrario, i titoli di stato a breve scadenza sono stati interessati da vendite che hanno determinato un rialzo dei rendimenti. Risultato: il differenziale tra il rendimento dei titoli di stato a due anni e quello dei Treasury a dieci anni si è contratto di ulteriori 11 punti base. La Federal Reserve è stata per anni un grande amico del mercato azionario, tuttavia, dinanzi alla necessità di riequilibrare la politica monetaria rispetto alle mutate condizioni dell’economia reale, la banca centrale non ha esitato a cambiare rotta.