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India, tante luci e qualche ombra
Continuiamo la serie di valutazioni sull'andamento di alcuni dei maggiori mercati azionari negli ultimi 10 e cinque anni occupandoci questa volta del migliore fra gli emergenti, nonché una delle piazze di maggiore successo in assoluto al mondo, ossia l'India. Il paese ha vissuto qualcosa di simile a un quinquennio d'oro in termini di performance borsistiche, di attenzioni degli investitori e di riforme economiche strutturali. Per quanto la crescita economica ancora non sia decollata ai livelli che ci si attenderebbe da un paese con simili potenzialità, sicuramente l'azionario indiano ha regalato più di una soddisfazione, anche al netto di una valuta costantemente piuttosto debole.
Basti pensare che l'anno scorso è terminato con un modesto calo in dollari dell’Msci India (-7,3%) a fronte di perdite disastrose per l'equity europeo ed emergente. Per tutto il 2018 l'azionario di quella che si avvia a essere la prima nazione del mondo per abitanti è stato in territorio positivo, con una evidente e rapida discesa verso la fine.
Con ciò entriamo subito nel vivo dell'analisi: l'India è una nazione con potenzialità immense e probabilmente sul lungo termine un eccellente luogo su cui investire. Bisogna però essere pronti a inghiottire non poca volatilità. Se infatti osserviamo il total return annuale nell'ultimo decennio di Mumbai, sede del maggiore mercato azionario del paese, vediamo che esso è stato +11,6%, sempre in divisa americana, con un notevole +7,9% nell'ultimo quinquennio.
Quest'ultimo periodo ha coinciso con l'avvento dell'era Modi in India, dopo anni difficili di crescita economica fragile. Infatti sostanzialmente gran parte del rimbalzo messo a segno nel lustro immediatamente seguente al marzo del 2009 è stato generato nel corso del primo anno, con una crescita dell’Msci India di oltre il 102%. Complessivamente l'elevata volatilità ha portato infatti a uno Sharpe tutto sommato non entusiasmante, se calcolato su 10 anni, con questo indicatore che si è posizionato a 0,53. Negli ultimo quinquennio, invece, vi è stato un lieve abbassamento a 0,47, un livello comunque notevolissimo rispetto al pianto generale degli emergenti (a parte una manciata di azioni cinesi quotate all'estero).
Investire nella maggiore democrazia del mondo non è dunque facile, specialmente se consideriamo che questa piazza presenta caratteristiche growth piuttosto marcate con un PE trailing di poco sotto 24 e uno forward di 18,7 generato da previsioni di crescita degli utili piuttosto aggressive. L'insieme degli emergenti in generale non arriva a 12. I benchmark locali non sono eccessivamente diversificati, con il colosso Reliance, una sorta di keiretsu/chaebol indiana, che rappresentava a fine marzo poco meno dell'11,6% della capitalizzazione complessiva. In totale i primi 10 titoli costituiscono oltre il 51,8% del valore borsistico.
Va però detto che vi è un’interessante dotazione di mid e small cap da cui generare ulteriore alfa da un equity che comunque è stato capace di fornire soddisfazioni agli investitori. Solamente non va dimenticato che l'India rimane un paese in gran parte povero e quindi con problemi idiosincratici specifici destinati a farsi sentire a lungo, non ultimo un sistema finanziario ancora fragile e ricco di Npl. A ciò va aggiunto un certo grado di incertezza politica, testimoniato dalle elezioni attualmente in corso (i risultati definitivi si sapranno a fine maggio) da cui rischia di uscire una maggioranza molto più fragile rispetto a quella vista di recente.
Investire in India, dunque, richiede tempo, pazienza, capacità di tollerare volatilità e una conoscenza dei problemi locali fuori dal comune.