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Disagio sociale: peggiora a causa dell’inflazione
L’indice MIC che misura il disagio sociale in dicembre è peggiorato di due decimi di punto a 16,6 punti. L’elevata inflazione, che ha compresso il potere di acquisto delle famiglie, ha annullato i progressi registrati nel mercato del lavoro. Timori per l’evoluzione dei prossimi mesi.
Il disagio sociale è tornato a peggiorare lo scorso dicembre, dopo essere rimasto stabile per tre mesi di fila (settembre-novembre). L’indicatore che lo misura, messo a punto dall’ufficio studi di Confcommercio, nell’ultimo mese del 2021 si è, infatti, attestato su un valore stimato di 16,6 punti, in aumento di due decimi di punto sul mese precedente.
Così il Misery Index anche nella formulazione attuale, che sottostima la disoccupazione estesa in considerazione dell’impossibilità di enucleare il numero di scoraggiati e sottoccupati, si mantiene su livelli storicamente elevati. Nella media dell’intero 2021 l’indice si è attestato a 17,6, un decimo di punto in più rispetto al 2020 e quasi tre punti in più nei confronti del 2019 (ultimo anno al netto degli effetti del Covid).
Preoccupa la perdita del potere di acquisto
Il peggioramento della percezione del disagio sociale nel Paese è principalmente da attribuire alla perdita del potere di acquisto delle famiglie accusata negli ultimi mesi dell’anno, a seguito dell’impennata dei prezzi al consumo. In particolare, sottolinea l’analisi di Confcommercio, la rapida e progressiva ripresa dell’inflazione, che ha interessato molti dei beni e servizi (tariffe e bollette) che gli italiani acquistano con maggior frequenza (a partire dalla componente energetica), ha di fatto vanificato i miglioramenti conseguiti sul fronte dell’occupazione. Il mercato del lavoro, infatti, si è costantemente mantenuto tonico grazie alla forte ripresa registrata dalla nostra economia dopo la gelata provocata dall’emergenza sanitaria.
Buone nuove dal mercato del lavoro
Nel mese di dicembre il tasso di disoccupazione ufficiale si è attestato al 9%, in diminuzione di un decimo di punto su novembre: per rivedere un livello (media annua) così basso bisogna risalire al 2011. Il dato, secondo l’ufficio studi di Confcommercio-Imprese per l’Italia (su elaborazione di dati Istat e Inps), è la sintesi di una stabilità degli occupati e di una riduzione del numero di persone in cerca di lavoro (-29mila unità in termini congiunturali). A questa evoluzione, inoltre, si è associata una moderata crescita degli inattivi (+35mila unità su novembre). A riprova del positivo momento attraversato dal mercato del lavoro c’è la conferma della disoccupazione estesa, rimasta in dicembre al 10,8% per il secondo mese consecutivo (11,2% in ottobre).
Ancora in sofferenza il commercio e il turismo
A dicembre le ore autorizzate di CIG sono state quasi 78 milioni a cui si sommano i circa 42 milioni di ore per assegni erogati dai fondi di solidarietà, in aumento congiunturale. Del totale delle ore autorizzate il 71,9% aveva causale Covid-19, con un’incidenza doppia rispetto a novembre. Oltre il 50% delle ore autorizzate con questa causale è riconducibile a imprese del turismo, del commercio e dei servizi di mercato, a evidenziare lo stato di difficoltà in cui ancora versano molte aziende del terziario. In termini di ore di CIG effettivamente utilizzate destagionalizzate e ricondotte a ULA, si stima che questo corrisponda a 245mila unità lavorative standard. Il combinarsi di queste dinamiche ha determinato un tasso di disoccupazione esteso pari al 10,8%.
L’inflazione sale ai massimi dal 1996
La nota dolente è rappresentata dall’andamento dell’inflazione che, secondo gli esperti, continuerà a dominare la scena anche nei prossimi mesi. Nell’ultimo mese del 2021 i prezzi dei beni e dei servizi ad alta frequenza d’acquisto hanno mostrato un’ulteriore accelerazione, attestandosi al 4% su base annua, allungando a dieci mesi la serie dei rialzi continuativi (si era partiti dallo 0,7% dello scorso marzo). E il trend non dovrebbe smettere, tenuto conto che già a gennaio l’inflazione (con aumenti dell’1,6% mensile e del 4,8% tendenziale) si è arrampicata fino ai nuovi massimi degli ultimi 25 anni (1996). Ad alimentare le pressioni è soprattutto la componente energetica (+38,6%) che, a pioggia, impatta su tutti gli altri capitoli di spesa degli italiani.