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Mercati emergenti: l’impatto della guerra
La guerra ha cambiato lo scenario macro mondiale, soprattutto quello dei mercati emergenti. Si guarda all’export di Ucraina e Russia per capire su quali settori ci saranno le maggiori implicazioni inflative, mentre i Paesi emergenti esportatori di materie prime sono i più favoriti.
A poco più di un mese dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia (24 febbraio) gli analisti iniziano a prendere le misure di quello che può essere l’impatto sui mercati finanziari di questo conflitto. In particolare, cercano di capire gli effetti che dovrebbero avere le sanzioni sull’economia russa e sulla crescita globale. Per questo consigliano agli investitori di adottare un approccio prudente e difensivo, anche perché - anche prima della guerra - l’orizzonte non era più così tanto sereno: la crescita era in rallentamento, le condizioni finanziarie globali stavano per inasprirsi, il minore sostegno fiscale rappresentava già un freno all’attività economica e l’inflazione già mostrava segni di eccessivo surriscaldamento.
Lo scenario macro è cambiato
C’erano tuttavia motivi per essere positivi poiché, ha osservato Tom Wilson, head of emerging market equities di Schroders, i rendimenti e le valute dei Paesi emergenti avevano prezzi attraenti e, comunque, era stata messa in conto una Fed più 'falco' e ci si aspettava un rallentamento dell’inflazione nella seconda metà del 2022. Ma la guerra ha gelato queste previsioni, mettendo in luce le strette correlazioni che oggi ha l’economia globalizzata, nonostante la Russia e l’Ucraina rappresentino meno del 2% del Pil mondiale. Il conflitto, oltre a scatenare una grave recessione in Russia (tra sanzioni e ritiro di aziende e clienti occidentali), potrebbe avere comunque un impatto pesante a livello globale a causa del suo effetto sui mercati delle commodity.
L’export 'pesante' di Russia e Ucraina
Infatti, rileva Wilson, la quota di materie prime esportate dalla Russia e dall’Ucraina è significativa: vanno dall’energia ai metalli, ai metalli preziosi, ai cereali e ai fertilizzanti. Ed è sotto gli occhi di tutti che la combinazione tra premio per il rischio geopolitico e minaccia di disruption delle consegne ha innescato la recente impennata dei prezzi delle commodity. A preoccupare non sono tanto le componenti energetiche, ma i beni alimentari poiché l’Ucraina è un importante produttore ed esportatore di grano e di altri prodotti agricoli. Il problema, avverte l’esperto, è che l’impatto sui prezzi di tali beni potrebbe essere duraturo se continueranno le disruption sulla produzione nel Paese e sui mercati dei fertilizzanti.
Meno tensioni sul mercato petrolifero
Apparentemente sul mercato petrolifero c’è meno tensione, perché l’offerta dei Paesi produttori di greggio sono pronti a sfruttare la favorevole situazione (per loro esportatori netti di greggio). C’è, infatti, la prospettiva di un accordo al riguardo con l’Iran, un eventuale ulteriore aumento della produzione da parte dei membri OPEC (guidata dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti), così come è attesa un’accelerazione degli investimenti e della produzione di scisto negli Stati Uniti e anche un rilascio di barili dalla riserva strategica Usa. L’inflazione viaggia comunque già sui massimi pluridecennali e gli esperti non prevedono un suo rallentamento nel breve termine proprio a causa del rally registrato dalle commodity.
I molti fattori di spinta dell’inflazione
Ma non basta. La guerra, secondo l’esperto, potrebbe avere effetti anche di lungo termine sull’inflazione visto che l’accelerazione della transizione energetica è di natura inflativa. Nel frattempo, i costi di input per l’hardware delle rinnovabili sono aumentati e una più rapida diversificazione della supply chain e della polarizzazione economica (una maggiore attenzione alla sicurezza delle forniture) sarebbe lo stesso inflativa. Uno scenario che, aumentando il rischio stagflazione, complica l’azione delle Banche centrali. La crescita globale dovrebbe rallentare, anche se l’impatto non sarà uniforme. Gli Usa sono più isolati rispetto a Europa e ad altri Paesi sviluppati, data la loro autosufficienza energetica e la minore esposizione al commercio globale.
I Paesi emergenti esportatori di commodity più favoriti
La Fed può essere più graduale per quanto riguarda la stretta della politica monetaria, ma è probabile che alzi i tassi in uno scenario di crescita globale più debole. Ciò, sommato a un dollaro USA più forte, crea un contesto complicato per i mercati emergenti. Per i Paesi che sono importatori netti di materie prime, i prezzi più alti peseranno sulle partite estere e sulle valute. Per quelli emergenti a basso reddito, l’energia e i beni alimentari rappresentano tipicamente un’importante quota dell’indice dei prezzi al consumo (per esempio, oltre il 50% per l’India e attorno al 20-40% in molti altri Paesi). Al contrario, i Paesi emergenti esportatori (America Latina e Medio Oriente, ma anche Malesia e Indonesia) di commodity sono posizionati meglio.