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Pro e contro gli Em
Più rendimento in cambio di un più elevato livello di rischio. Sembra essere questa la massima che guida l’investimento nei mercati emergenti. Questi listini continuano a occupare il top delle preferenze dei gestori per il prosieguo dell’anno.
Partendo da questa premessa, una delle indicazioni più diffuse tra i money manager per affrontare il 2019 è la seguente: c’è un interesse crescente per le opportunità insite in alcuni mercati emergenti, a patto di essere consapevoli di dover affrontare periodi permeati da una volatilità elevata.
Il 2018 non proprio brillante vissuto dalle Borse di gran parte del mondo, ha finito per condizionare in negativo anche le performance realizzate dagli emergenti. L’indice Msci Emerging Markets ha accusato una perdita del 16%, la sua annata peggiore dal 2015. Ed è proprio la pesante correzione registrata l’anno scorso che fa propendere molti esperti per un overweight dei listini emergenti nel 2019. I sei ratio P/e (indicanti le volte che il prezzo dell’azione ingloba l’utile) più convenienti a livello planetario appartengono a listini azionari di paesi emergenti.
Nel caso dell’indice Rts della Borsa di Mosca, il ratio P/e è il più basso del mondo con un 5,4, seguito da quello del listino azionario turco con il 5,8, da quello di Buenos Aires a quota 9, da quello ungherese a 11 e da quelli di Corea del Sud e Hong Kong con, rispettivamente, 11,2 e 11,4. La media dei ratio P/e delle Borse dei mercati azionari dei principali paesi emergenti è prossima a 13,9, il 21% in meno rispetto alla media dei P/e delle Borse dei più importanti mercati industrializzati.
Al di là delle convenienza presentata dai livelli del ratio P/e, i mercati emergenti sembrano disporre di altre frecce al loro arco. La prima è rappresentata dal dollaro statunitense. Dall’inizio dell’anno, il biglietto verde si è indebolito nei confronti del rublo russo, del renminbi cinese, del peso messicano e di quello colombiano. La svalutazione del dollaro Usa ha storicamente rappresentato un fattore molto favorevole per l’evoluzione dei listini emergenti. In molti casi –e in particolare per quelle economie più correlate all’andamento del biglietto verde- questi paesi traggono enormi vantaggi perché quote consitenti dei loro debiti sono denominati in dollari. Per quato motivo, una svalutazione del dollaro consente di andare incontro a periodi in cui si riducono i costi di finanziamento sul mercato dei capitali. Allo stesso tempo, se il dollaro si svaluta sarà più facile approvvigionarsi di materie prima la cui quotazione è fissata proprio in dollari.
L’evoluzione del dollaro negli ultimi mesi ha molto a che vedere con le mosse della Federal Reserve, che ha cambiato il proprio outlook e annunciato che non applicherà altri incrementi del costo del denaro nel 2019. La minore crescita del Pil Usa viene solitamente accompagnata da una divisa domestica più debole. Questa è la seconda ragione in ordine d’importanza citata dagli esperti per supportare la loro view positiva per le Borse dei mercati emergenti nel 2019.
Tra i fattori che potrebbero mettere in discussione la bontà di quest previsioni c’è sicuramente l’instabilità politica che continua ad imperversare in molte aree del pianeta. L’instabilità politica ha più volte dimostrato di essere una variabile in grado di comprimere al ribasso la produzione manifatturiera dei mercati emergenti e di comprometterne il trend di crescita.