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Un referendum subito assorbito dai mercati
Alla fine i mercati sono riusciti a superare anche le forche caudine del referendum italiano: la reazione è stata in piccolo simile a quella che si è avuta nel caso dell'elezione di Donald Trump alla presidenza degli Usa, ossia un breve momento di avversione al rischio, con borse asiatiche in ribasso ed euro intorno a 1,05 (il livello minimo dal marzo 2015), seguito da una fase di forte ripresa.
Dopo pochi minuti di contrattazione persino Milano si è rimessa in territorio positivo, mentre il resto d'Europa presentava solidi guadagni. Ovviamente accadimenti di questo genere sono di non facile lettura: da una parte la vittoria del no, per quanto pochi si aspettassero il 59,11% di sostenitori, era ampiamente prevista dai sondaggi e quindi già metabolizzata. Dall'altra forse gli investitori si stanno abituando al nuovo paradigma di instabilità politica e hanno deciso che alla fin fine forse anche il populismo non è così cattivo.
In fondo per avere conferma che questa visione non è poi così assurda basta osservare le nomine di governo da parte di Trump: si tratta di persone sicuramente ideologicamente lontane dall'amministrazione Obama, però tutte con curriculum tecnocratici di grande spessore, nel segno di una certa continuità con quello che è l'apparato del Partito repubblicano.
Per quanto riguarda la situazione italiana va poi specificato un elemento: fra poco più di un anno va comunque a finire la legislatura. È vero che con l'attuale legge elettorale e il bicameralismo il paese è praticamente ingovernabile, ma è altrettanto fuori discussione che l'Italia attualmente presenta una fila di problemi urgenti che in parte prescindono dalle beghe politiche.
Ovviamente il sistema bancario è in prima linea in questa lista, con i mercati che stanno scommettendo che qualunque sia l'evoluzione politica del paese alla fine si troverà una soluzione accettabile per tutti.
Va detto, infatti che, per quanto lo scenario economico lasci parecchio a desiderare, esso comunque rimane quanto meno estremamente stabile. Il mondo si è adagiato in un quadro di crescita francamente miserrima, ma che comunque da anni, a parte alcune economie emergenti particolarmente fragili (e comunque attualmente in miglioramento), riesce a tenersi fuori dalla recessione.
Probabilmente gli investitori stanno capendo ciò e puntando su quello che i mercati possono dare in maniera più razionale di quanto potrebbe apparire di primo acchito. Se dovessimo sintetizzare brutalmente, davvero cambia qualcosa per quei circa 300 miliardi di euro fra incagli e sofferenze presenti nello stato patrimoniale dei 14 maggiori istituti di credito del paese se al governo ci va Renzi piuttosto che Salvini, Grillo o Berlusconi? Cambierebbe solo se le compagini che essi guidano facessero davvero ciò che propongono ai loro elettori.
Ma per il momento nessuno sembra credere a rivoluzioni imminenti, né in un senso né nell'altro. Va altresì ricordato che maggiore è il grado di compiacenza nei confronti dei rischi, più forte sarebbe lo shock qualora lo scenario benigno non si rivelasse corretto. L'elemento interessante, infine, è dove può arrivare il dollaro, che indubbiamente sta mostrando una forza davvero prodigiosa.
È chiaro che il resto del mondo non sta esattamente protestando a fronte di questo sviluppo: il problema però è tentare di capire fino a che punto l'America può reggere il super-dollaro. Sarà interessante quindi nei prossimi mesi osservare l'evoluzione dei corsi e della volatilità sul Forex, che già negli ultimi anni ha fatto da sfogatoio al sistema. Se si dovesse andare incontro a qualcosa di configurabile, anche alla lontana, come una guerra valutaria, probabilmente sarebbe il segnale che i rischi politici ci sono davvero e sono stati pesantemente sottovalutati.