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Europa, occhio ai consumi
L'assoluto dominio, in termini di rendimenti da parte del mercato azionario americano nell'ultimo decennio, come si è visto, è stato dovuto a un miglioramento in termini relativi dell'andamento del Pil rispetto ad altre parti del mondo. Il fenomeno può apparire curioso, in quanto è dal 2005 che gli Usa non riescono a mostrare un incremento annuale dell'economia pari o superiore al 3%, con gli ultimi otto anni che hanno rappresentato la fase di minore crescita per il paese dai tempi della Grande depressione.
Il problema evidenziato, però, è che le altre aree del pianeta hanno visto un rallentamento peggiore rispetto a quello degli Usa, Europa in primis. Sarebbe comunque un errore pensare che il fenomeno sia stato limitato all'Europa del Sud. Infatti se prendiamo come proxy del Nord dell'Eurozona la Germania e l'Olanda, le due economie più importanti dell'Eurozona sopra le Alpi ex-Francia, scopriamo che nei nove anni da fine 2007 a fine 2016 il paese tedesco ha messo messo a segno un aumento del Pil annuale dell'1% circa, mentre per l'Olanda le cose sono andate decisamente peggio. Infatti i Paesi Bassi hanno visto crescere la loro economia nel quasi decennio passato dallo scoppio della crisi finanziaria appena dello 0,5% annuo circa. Si tratta di valori che erano simili a quelli della bistrattata Italia nei primi anni 2000. Per quanto riguarda gli Usa, invece, lo stesso arco temporale ha visto un aumento dell'output economico di circa l'1,3% all'anno.
In particolare le differenze hanno cominciato a farsi sentire in maniera potente nel lustro 31 dicembre 2011-31 dicembre 2016: in quel periodo la crescita complessiva della Germania è stata poco più del 60% di quella statunitense.
A questo punto non si può fare a meno di notare che negli ultimi due anni in verità l'Eurozona ha subito un'accelerazione, con incrementi vicini all'area del 2%, mentre l'America ha visto un ulteriore rallentamento. Siamo quindi di fronte a una nuova fase di inversione? Ovviamente solo il futuro potrà dircelo, ma per il momento i mercati non sembrano crederci più di tanto, nonostante le comuni previsioni di inizio anno di una ripresa dei rapporti relativi nei rendimenti azionari a favore dell'Europa.
Per vedere infatti un nuovo ciclo favorevole per il Vecchio continente, dovremmo di nuovo avere qualcosa di paragonabile al primo decennio degli anni 2000. All'epoca, per quanto con un modello folle e assolutamente insostenibile, l'Europa fu capace di crescita endogena. Era il periodo dei grandi squilibri a livello di partite correnti fra Nord e Sud del continente, con quest'ultima area che prendeva a prestito capitali a iosa dalle istituzioni del Nord. Erano gli anni delle varie bolle immobiliari, anche in questo caso finanziate dal copioso fluire di capitali in una zona sempre più integrata, e dell'esplosione dell'indebitamento personale con una situazione fiscale poi rivelatasi insostenibile in molte nazioni.
Successivamente quel poco di vitalità economica europea si è vista soprattutto nel campo del commercio estero, almeno fino all'ultimo biennio in cui la domanda domestica ha ripreso a crescere. Ciò comporta che oggi sostanzialmente chi vuole investire nei listini continentali deve puntare proprio su tutti quei settori e titoli legati alla domanda domestica, perché è lì che verrà espressa un'eventuale inversione secolare delle sorti del Vecchio continente. Fintanto che non ci saranno chiari segnali in tale direzione, però, i rischi continueranno a essere superiori agli eventuali benefici.