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Il mistero dell’inflazione perduta
Il quotidiano statunitense ‘The Wall Street Journal’ ha recentemente sottolineato che, per alcuni decenni, si è dato per certo che le banche centrali potessero controllare la dinamica dei prezzi attraverso variazioni apportate alla base monetaria e ai tassi d’interesse.
La risposta delle banche centrali dei principali paesi industrializzati del pianeta si è materializzata nel ricorso al quantitative easing. Grandi volumi di euro, dollari e yen sono stati iniettati dagli istituti deputati al controllo della politica monetaria, senza riuscire a centrare i risultati sperati. Prima che si verificasse l’inversione di tendenza vista negli ultimi mesi, altri fattori come il crollo delle quotazioni delle materie prime e di un buon numero di alimenti freschi, aveva pilotato molto paesi industrializzati verso la deflazione. La recente ripresa di una moderata dinamica inflazionista in alcuni paesi industrializzati si deve in particolare al taglio della produzione di greggio deciso dall’Opec (con effetti rialzisti sul prezzo del barile) e all’aumento del prezzo delle’energia elettrica (legato a motivi transitori). L’accelerazione dell’Ipc sembra avere poco o nulla a che fare con gli stimoli monetari delle banche centrali.
Lo scarso legame tra Qe e dinamica dei prezzi ha dimostrato che le banche centrali possono iniettare tutta la liquidità che vogliono (espressa in biglietti, monete e riserve bancarie) senza riuscire a mettere in moto un incremento dell’offerta monetaria, vale a dire, della quantità di denaro che circola all’interno dell’economia. Gli agenti economici possono mostrare una forte preferenza per la liquidità e mantenere il denaro ‘sequestrato’ come sta realmente accadendo di questi tempi (trappola della liquidità). Gli istituti di credito mantengono le risorse liquide in depositi presso le banche centrali; le famiglie e le imprese mantengono la liquidità in assets liquidi (consumano e investono meno).
La reazione delle banche centrali al potenziale arrivo della deflazione, ha dimostrato che l’inflazione può alimentarsi su più fronti. L’esperienza degli ultimi anni ci dice che la dinamica dei prezzi è guidata da molti fattori. L’inflazione può essere ‘da costi’ o ‘da offerta’. I maggiori costi che supportano questi due tipi di inflazione possono derivare da un incremento dei prezzi dell’energia (petrolio, elettricità etc) o da un aumento del costo della manodopera (salari e altri costi legati alla remunerazione dei lavoratori).
L’inflazione può essere anche ‘da domanda’, direttamente collegata con un aumento persistente della domanda aggregata. Questo tipo d’inflazione suole materializzarsi durante le fasi di crescita economica che registrano tassi superiori al potenziale esprimibile (fattori produttivi utilizzati al 100% della loro capacità, ma incapaci di seguire da vicino il ritmo di incremento della domanda).
Alcuni economisti credono che l’inflazione da costi e/o offerta sia la più rilevante a causa del peso che le materie prime rivestono negli indici dei prezzi delle singole economie. Dal 2002, l’84% delle variazioni ufficiali dei prezzi ufficiali derivano dai saliscendi sperimentati dalle quotazioni del petrolio e degli alimenti freschi. Nello stesso arco di tempo, la domanda ha giocato un ruolo marginale nel processo di formazione dei prezzi. In altre parole, le imprese hanno solo di rado stabilito il prezzo di un bene o servizio in funzione della domanda. In tutte le occasioni in cui si è verificata un’accelerazione dei prezzi al consumo, la spinta decisiva è arrivata dalle materie prime.