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Emergenti, la crescita matura
Vale la pena tornare sull'argomento azionario emergente per capire come muoversi sui mercati dopo i primi ottimi nove mesi del 2017. Avevamo già evidenziato come fossero cambiate un po' tutte le economie emerging, comprese le più fragili che hanno visto miglioramenti macro non da poco. Era stato sottolineato anche che la composizione settoriale in un decennio si è modificata profondamente, con un equity emergente che non ha più il commodity play come pilastro centrale, bensì internet e l'It in generale.
Questo succinto quadro torna con quanto previsto da diversi analisti che ritenevano probabile alcuni mesi fa un rerating dell'It cinese, che avrebbe avviato un percorso positivo per le quotazioni di tutto l'azionario locale (A shares in primis) e una forte ripresa delle borse di Taiwan e della Corea del sud. Il tema della tecnologia e i consumi che essa trascina, però, non è limitato alle aree tecnologicamente più avanzate del Nord-est dell'Asia e trova terreno fertile anche in india e nel Sud-est asiatico. Arrivati a questo punto però, dopo un anno per certi versi d'oro, i soldi facili sono spariti dal tavolo anche in quelle aree. È difficile infatti oggi entrare a cuore leggero su titoli come Alibaba o Tencent, nonostante la crescita mostruosa che ancora mostrano trimestre dopo trimestre.
Sulle valutazioni dei mercati emergenti, però, va evidenziato un elemento: nel complesso i valori sono ancora abbastanza bassi in termini relativi. Cominciamo però con un caveat: in termini di P/E forward tradizionalmente l'Msci Em ha quasi sempre quotato a sconto rispetto all'Msci world, che, ricordiamo, comprende solo le principali piazze sviluppate. Infatti, se analizziamo il P/E forward a partire da metà anni ’90, scopriamo, che è stato più elevato rispetto a quello dell'MSci World solamente in due occasioni: intorno al ‘95-‘96 e nel 2007-2008, ai picchi cioè, delle due maggiori bolle nella storia di questa asset class.
Pertanto il fatto che l'equity emergente sia a sconto in sé non dice più di tanto. Attualmente, però, esso veleggia intorno a un livello che è pari a circa il 76-78% degli equivalenti titoli nelle economie più mature. Si tratta di una soglia poco lontana dai minimi visti dopo il taper tantrum del 2013 e durante la grande crisi del 2015-2016, cioè rispetto all'apice negativo di quella che è stata per tali azioni una mezza lost decade. Se andiamo indietro nel tempo, poi, troviamo percentuali inferiori nella fase 1997-2004, ossia quella caratterizzata dalla crisi asiatica prima e dal crollo di inizio millennio poi. In tale frangente il rapporto fra le due grandezze scese sotto la soglia del 40%.
Fondamentalmente allo stato attuale non siamo lontani dalla media storica che però si accompagna a una standard deviation altissima, lascito delle fasi di euforia alternata a panico che hanno sempre caratterizzato l'azionario emergente. Però forse proprio qui sta la novità: se in futuro lo scenario che chiamiamo di “crescita matura” continuerà, sostenuto anche dalle possenti storie growth che abbiamo più volte evidenziato, allora è senz'altro ragionevole ritenere che vi sia spazio per ulteriori rerating. Il che accompagnato a profitti in crescita e a una cultura dei dividendi che si sta diffondendo significa nel concreto ottime opportunità per gli investitori.
Per continuare a cogliere questo trend vale la pena costruire portafogli con un mix di azioni che offra un’ampia combinazione di growth a prezzi ragionevoli e di veri e propri temi value.