- SEI UN CONSULENTE FINANZIARIO AUTONOMO?
- Scopri i vantaggi del nostro servizio
Perché la Cina non sovraperformerà nel breve
In un precedente articolo era stato fatto un breve punto della situazione, invero molto difficile, delle varie componenti del mercato azionario cinese. Non pochi gestori impegnati sull'equity asiatico sottolineano le numerose occasioni value presenti su quello che è un listino enorme e dalle ampie possibilità di picking. Senz'altro c'è del vero in questa affermazione, non bisogna però scordare che, almeno finché non ci saranno novità sostanziali dal punto di vista economico e geopolitico, l'azionario cinese e asiatico in generale si troverà in un ambiente piuttosto ostile. Per capire di che cosa stiamo parlando cominciamo l’analisi da un punto che di recente viene (comprensibilmente) spesso sottolineato a favore delle azioni A, ossia la loro decorrelazione rispetto al resto dei mercati.
Se però osserviamo l'andamento di questo mercato a partire dagli anni 2000 in poi, scopriamo una verità piuttosto scomoda: i titoli quotati nei listini della Repubblica Popolare hanno spesso mostrato buone sovraperformance, con bull market violenti e rapidi (ad esempio nel 2006-2007 e nella prima parte del 2015) in grado generare moltissimo alfa, quando il quadro era positivo a livello globale. Sicuramente Shanghai e Shenzhen si muovono con tempi e dinamiche specifiche loro, dipendenti in particolare dagli umori della vasta base di investitori retail locale, però non si è finora mai vista una fase di forza completamente svincolata dai problemi esterni. Nulla di paragonabile, tanto per fare un esempio, allo sfasamento verificatosi fra Usa ed Europa nel 2011-2012.
In compenso in Cina si sono visti molti cali e stagnazioni anche in periodi di propensione al rischio nel resto del mondo, per non parlare dei momenti di crisi. Dunque perché questi mercati tornino a fornire ricchi rendimenti, o quanto meno a sovraperformare, è necessario vedere una ripresa robusta del ciclo economico e forse neppure ciò sarebbe sufficiente. Con la fine della cuccagna monetaria globale e il caos geopolitico oggi presente, è logico immaginare che sia più facile avere sorprese negative che positive, anche senza ipotizzare rapide e disastrose cadute nella recessione.
Su tutto ciò, poi, incombe il problema della guerra commerciale voluta da Donald Trump: praticamente per la prima volta da quando il paese è passato al capitalismo, la classe dirigente cinese si trova ad affrontare un governo statunitense decisamente ostile. L'insieme di fattori fin qui esposto non fa esattamente sperare per un ritorno di fiamma delle azioni A.
Peraltro un errore che viene compiuto spesso quando si parla di investimenti in Cina è ignorare il possibile orizzonte temporale dei propri investimenti. In generale Shanghai e Shenzhen offrono sì occasioni value molto importanti dopo ogni fase di panico e/o nervosismo, ma il problema è che bisogna avere la pazienza di Giobbe e la capacità di ingoiare molta volatilità e molto a lungo per poi vedere dischiuso rapidamente tale valore.
Il paese sta facendo riforme importanti e la sua marcia verso la modernità e il dominio tecnologico rimane assolutamente intatta, ma sul breve periodo tutto ciò non ha praticamente alcun effetto di fronte al rallentamento del Pil nazionale, alla probabile frenata della crescita statunitense nei prossimi mesi, per via del venire meno degli stimoli fiscali e per la crisi incipiente che si vede già in diversi comparti interest rate-sensitive come auto e immobiliare, e alle derive europee.