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Il petrolio chiude un mese in ascesa
Il petrolio ha archiviato il miglior mese di gennaio dal 1983. Anche se le quotazioni continuano a rimanere su livelli piuttosto bassi rispetto ai massimi raggiunti nel giugno del 2008 (140 dollari al barile), l’incremento percentuale accumulato nel corso del primo mese del 2019 è stato a due cifre.
Quest’ascesa conferma che i tagli alla produzione voluti dall’Opec e dai suoi alleati hanno cominciato a sortire l’effetto sperato. Contemporaneamente, la prudenza della Federal Reserve, che in settimana ha confermato la frenata in materia di strette del costo del costo del denaro per il 2019, ha migliorato il sentiment sui mercati finanziari. Un ulteriore effetto positivo sui prezzi del barile è pervenuto dal lieve miglioramento delle prospettive di crescita dell’economia globale e dalla frenata del trend ascendnete del dollaro statunitense.
Secondo gli esperti del settore commdities, l’accordo tra l’Opec e i suoi alleati per tagliare la produzione di petrolio di 1,2 milioni di barili giornalieri, la forte contrazione della produzione in Iran e Venezuela e l’instabilità che caratterizza la produzione in Libia e Nigeria, potrebbero essere da soli sufficienti a garantire una prossima stabilizzazione delle quotazioni in prossimità dei 70 usd al barile. L’Opec ha comunicato che la produzione a dicembre ha registrato 751.000 barili giornalieri rispetto al mese di novembre (attestandosi a 31.578 mln mensili), anticipando ‘de facto’ il nuovo taglio alla produzione (entrato in vigore il 1° gennaio da quanto si apprende dalla lettura del comunicato mensile pubblicato dai membri del cartello petrolifero).
La settimana scorsa, le importazioni statunitensi di petrolio saudita sono scese al livello più basso da ottobre del 2017. Il petrolio West Texas, quello di riferimento per il mercato Usa, ha recuperato parte del terreno perso nell’ultimo trimestre del 2018 (periodo in cui ha accusato un calo del 40%). La grave situazione economico- finanziaria in cui versano alcuni dei paesi membri del cartello, ha convinto l’Opec e i suoi alleati a impegnarsi sul versante dei tagli alla produzione per cercare di supportare i prezzi.
Ai tagli si somma la crisi del Venezuela, che minaccia di limitare in maniera ancora più marcata le somministrazioni di greggio. Le sanzioni statunitensi applicate al Venezuela rappresentano ‘un embrago petrolifero a tutti gli effetti’ e finiscono con l’offrire un supporto alle quotazioni.
Attualmente, la quotazione dle barile di West Texas è vicina ai 55 usd rispetto ai 45 della chiusura di dicembre. Ieri il rialzo è stato vicino al 2%. La quotazione del brent, greggio di riferimento per il mercato europeo, ha superato i 62 usd al barile rispetto ai 53,8 della chiusura di dicembre. Ieri il progresso giornalieri è statao di circa l’1,5%.
Molti esperti ritengono che il mercato petrolifero –domanda vs offerta- dovrebbe stabilizzarsi durante la prima metà del 2019. Nella seconda parte dell’anno i deficit domanda/offerta dovrebbero diventare marginali e si entrerà in una fase in cui qualsiasi piccola crisi di produzione sarà capace di erodere gli inventari e spingere i prezzi al rialzo.
Sembra che i tagli alla produzione voluti dall’Opec stanno riportando in equilibrio il mercato. Questo nuovo scenario di riferimento sta facendo guadagnare terreno alle posizioni long. A Wall Street si assite già a un incremento degli investimenti in futures che potrebbe alimentare la domanda e i prezzi.