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Chi è a rischio nella guerra commerciale
Allo stato attuale appare praticamente impossibile tentare di prevedere il futuro delle dispute fra Cina e Usa. La situazione potrebbe risolversi nell'ennesima bolla di sapone oppure, con altrettanta probabilità, trasformarsi in una vera e propria guerra fredda in grado di azzoppare l'economia globale nel futuro prossimo. Una cosa però si può fare: individuare quei mercati, comparti e tipologie di asset particolarmente a rischio di significativi cali nel caso di uno scenario negativo.
Il primo ambito che viene in mente riguarda le attività cinesi, in particolar modo valuta e azioni. Nel caso dell'equity in verità l'atteggiamento non è del tutto razionale, in quanto le aziende quotate nei vari comparti in cui sono divise le borse cinesi sono particolarmente concentrate sul mercato domestico. Oltre il 90% del fatturato, infatti, deriva dalle vendite realizzate in casa, elemento che rende la seconda economia del mondo un unicum fra gli emergenti, ammesso che si voglia considerare la Cina ancora un emerging market.
Non a caso nell'ambito dell’Msci emerging markets circa i tre quarti del fatturato vengono generati all'estero. Il settore dell'export rimane importante per la Cina (anche se non più che per una media economia dell'Eurozona), ma trova scarsa rappresentazione all'interno dei propri benchmark azionari. Però nonostante non sia del tutto chiaro quali danni diretti arriverebbero ad aziende come Alibaba e Tencent da una disputa commerciale con gli Stati Uniti, in particolare i titoli growth della nuova economia cinese a ogni chiar di luna sfavorevole tendono a subire un forte derating, ben peggiore rispetto alle proprie controparti occidentali.
In secondo luogo le varie potenze industriali che ruotano intorno alla Cina fornendo le tecnologie avanzate che il Dragone sta solo ora cominciando a produrre, dalla Corea del Sud a Taiwan per arrivare al Giappone, rischiano di passare brutti momenti, in particolare se la questione del futuro del 5g diventasse sempre più centrale, come ritengono diversi analisti. I vari colossi dell'elettronica asiatica rischiano infatti di diventare vittime incolpevoli di queste tensioni, specialmente in un frangente come quello attuale in cui diversi cicli all'interno di questo macro-comparto, dai microchip agli smartphone, non sono propriamente nella loro fase più brillante. Come dicevamo, anche il Giappone verrebbe parzialmente coinvolto: anche se il mercato di Tokyo, come abbiamo visto di recente, è comunque molto più diversificato e rivolto all'economia domestica rispetto a Taipei o Seoul, rimane comunque fortemente ciclico.
Nel caso del Giappone però probabilmente non si avrebbe il doppio impatto su asset rischiosi e valuta, anzi in frangenti del genere lo yen tende a sovraperformare anche nei confronti del dollaro.
Va detto, infine, che una delle ragioni per cui il sentiment per queste economie tende a diventare pessimo quando deflagrano le tensioni fra Cina e Usa è che sono esse stesse a rischio di ritorsioni commerciali da parte americana, nonostante un'alleanza formale.
Un'altra area a rischio è quella dell'oil&gas: il petrolio si è ripreso quest'anno, ma rimane molto al di sotto dei picchi dell'anno passato, per non parlare di quelli dello scorso decennio. Il Brent attualmente mostra comunque segnali di debolezza non indifferenti, faticando a tenere la soglia di 70 dollari al barile, nonostante la situazione difficilissima del Venezuela e le tensioni pazzesche fra Usa, Arabia Saudita e Iran. Non è difficile immaginare come una crisi economica incentrata su una pesante disruption dei flussi di merci da un lato all'altro del pianeta porterebbe a corsi del greggio molto più contenuti, con conseguenze nefaste sulle aziende del settore. Peraltro queste ultime negli Stati Uniti nel primo trimestre di quest'anno hanno già visto un calo dei propri utili del 26%.
Infine danni pesanti si avrebbero in diversi pilastri che sorreggono l'economia europea, un argomento che però vedremo la prossima volta.